Il Fondo Monetario Internazionale stringe i tempi per la sua riforma. Il direttore del principale organismo monetario mondiale, Christine Lagarde, auspica che il Congresso degli Stati Uniti dia finalmente seguito alla promessa di sostenere il programma di importanti correzioni al funzionamento del FMI, formulate nel 2010, sottoposte all’attenzione della comunità internazionale e già ratificate dalla stragrande maggioranza dei paesi del mondo, ma non dagli Stati uniti, principale “azionista” dell’associazione monetaria. Il presidente Lagarde ha recentemente confermato quanto sia diventato prioritario far sì che gli USA contribuiscano a rivedere l’assetto generale del FMI e renderlo così più funzionale alle esigenze di un mondo profondamente diverso rispetto a quello per il quale era stato inizialmente concepito nel 1946.
[ad]”Nutriamo una certa fiducia nel fatto che gli Stati Uniti ratifichino il pacchetto di riforme. Esso, approvato dal Presidente Barack Obama, è stato incluso nel disegno di legge sul bilancio, ed è ora al vaglio del Senato degli Stati Uniti” . Ha detto Lagarde in una recente conferenza stampa. Il capo del FMI ha inoltre espresso la speranza che, data la natura multilaterale propria del Fondo Monetario Internazionale, i legislatori statunitensi possano sostenere in pieno accordo le proposte di rinnovamento, facendo rientrare gli USA nella schiera degli Stati che hanno già ratificato la riforma.
In cosa consiste il pacchetto proposto da Lagarde nel 2010? Esso mira in primo luogo a rafforzare la posizione di alcuni paesi con economie di transizione (in particolare la Russia) e in via di sviluppo. Venerdì scorso l’ufficio stampa del Fondo ha riferito che a partire dal 10 aprile, le proposte volte a rivedere il sistema delle quote nazionali di partecipazione sono state sottoposte a voto e approvate da 148 paesi membri del FMI (su un totale di 188) corrispondenti al 77,4% delle quote di azionariato dell’organizzazione (ricordiamo che nel FMI non si vota per testa, ma, come in un’assemblea di azionisti, il voto ha un peso corrispondente alla quota di capitale investito). A ciò si aggiunge anche la votazione concernente la riorganizzazione del Consiglio di Amministrazione, che ha visto il sì di 136 paesi ( pari al 71,3% di quote).
Tuttavia, secondo gli accordi di Bretton Woods, nel FMI, le decisioni relative allo statuto organizzativo e al funzionamento degli organi esecutivi possono essere prese solo dal 85% delle quote azionarie. Quella degli Stati Uniti è pari a circa il 17%. Da un punto di vista aritmetico è quindi chiaro che il destino di qualsivoglia riforma dipende solo da Washington e dalla capacità degli USA di porre il veto a tutte le istanze non conformi alla propria volontà.
Nel suo intervento di apertura alla conferenza stampa, Lagarde ha sostenuto che il Fondo dovrebbe essere uno “specchio” del mondo e dei cambiamenti che in esso avvengono. E’ noto ormai come l’economia globale abbia nuovi protagonisti e nuovi motori di sviluppo perciò, prosegue Lagarde, non si può non riconoscere il ruolo che queste nuove realtà rappresentano nel mondo, in particolare i paesi locomotiva dell’economia mondiale: il cosiddetto gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa).
Rispondendo alle domande dei giornalisti cinesi, il capo del FMI ha inoltre confermato come sia necessaria una corretta riflessione sul nuovo equilibrio mondiale dal momento che “assistiamo ad una accelerazione dei mutamenti: i paesi con mercati emergenti e in via di sviluppo si stanno muovendo molto più velocemente, e le economie sviluppate molto più lentamente”.
In ogni caso, al di là dei propositi di rinnovamento, secondo gli esperti, anche se la riforma proposta nel 2010 passasse con il bene stare degli Stati Uniti, la voce dei paesi in via di sviluppo e in transizione, membri del Fondo, continuerà a rimanere piuttosto minoritaria e il loro peso relativo non crescerà in modo coerente col loro peso effettivo nell’economia mondiale rispetto ai paesi che “contano” ( Stati Uniti e UE).
La situazione attuale non lascia ben sperare in un riequilibrio di un organismo monetario che rivela sempre di più la sua obsolescenza rispetto alle nuove dinamiche globali e i recenti interventi nelle crisi monetarie dei paesi europei, con la proposta di risoluzioni deflattive e dalle conseguenze fortemente recessive, continuano a marcare la distanza fra un mondo in cerca di nuove soluzioni e nuove guide rispetto un establishment incapace di riformasi e a politiche incapaci di dare risposte.