Il funerale del Partito Democratico è stato celebrato la scorsa settimana con le dimissioni della dirigenza e con il tradimento per l’elezione di Prodi. Dopo la rielezione di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica si pre-annuncia un governo di larghe intese con la stessa maggioranza del governo Monti, forse con l’aiuto della Lega.
[ad]Intanto la base e le correnti del partito guida del centrosinistra è in subbuglio e si prefigurano possibili scissioni. Con una’area del partito, quella favorevole all’elezione di Rodotà, che si sposterebbe a sinistra senza sostenere il Governo in gestazione.
Con i 100 e passa deputati che hanno deciso di non eleggere Romano Prodi e la non convergenza su Stefano Rodotà, preferendogli la rielezione di Napolitano con un pericoloso precedente normativo, Bersani con tutta la dirigenza del Partito Democratico ha consegnato le proprie dimissioni. La base del PD è in subbuglio per le “scellerate scelte della dirigenza nazionale del partito”, è ciò che si legge nel comunicato dei giovani democratici di Teramo che, per protesta, si sono sospesi.
Le iniziative della base però sono numerose. A Napoli, per esempio, i giovani hanno occupato la sede della federazione regionale del partito per protestare contro la linea del partito, a Torino, invece, con un’assemblea auto convocata la base ha dichiarato di “dissociarsi dalle scelte del partito” e di lavorare per riprendersi il partito perché è “quello in cui crediamo”.
Ma anche tra i dirigenti più importanti cominciano i primi movimenti. Pippo Civati, che non ha votato la rielezione di Napolitano, attacca la dirigenza dimissionaria per l’ostinazione a proporre nomi vicini all’aria berlusconiana, come Amato e Marini, invece di “proporre in prima battuta nomi importanti come Romano Prodi e Stefano Rodotà”.
Sul suo blog Civati cita il caso del 1992 quando Rodotà e Napolitano si sfidavano per la presidenza della camera quando “quelli-di-sinistra-che-odiano-la-sinistra allora come oggi non potevano permetterselo”. Anche Rosy Bindi, ospite di Maria Latella, attacca Bersani per la “scelta dei nuovi parlamentari”.
L’ex presidente del Partito dice che con le primarie “ci siamo trovati in parlamento con persone inaffidabili”. Denuncia, poi, la necessità di un ricambio generazionale ma con i modi giusti, o si finisce con un partito distrutto e pieno di franchi tiratori. Bindi, poi, dice no ad un governo di larghe intese guidato da Enrico Letta. Franco Marini, invece, definisce vergognoso l’atteggiamento avuto dai parlamentari PD nella vicenda dell’elezione del capo dello stato, chiaramente stizzito per il trattamento riservatogli.
Ma i principali leader, in questo momento, sembrano essere Fabrizio Barca e Matteo Renzi. Il primo, che benedice una “fuga verso SEL” di tutti i soggetti realmente riformatori, sembra auspicare uno smembramento del partito perché troppo variopinto al suo interno. Il secondo ha iniziato la propria campagna in vista delle prossime politiche e del prossimo congresso del PD.
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[ad]Renzi dice di approvare un governo di unità nazionale, “ma che duri solo un anno, per cambiare la legge elettorale e varare i più importanti provvedimenti”. Renzi, inoltre, propone una riforma costituzionale che porti ad un presidenzialismo, usando un metodo elettorale simile a quello delle comunali, che, secondo il sindaco, consegna una forte e chiara maggioranza mostrando all’elettore chi andrà poi a governare.
Nel Partito Democratico, che oggi pomeriggio ha un’importante direzione nazionale, ormai non si contano più i gruppi autonomi interni al partito. Resiste l’area popolare in forte sofferenza. Ha tra i propri padri nobili Franco Marini. E tra gli esponenti di punta Beppe Fioroni.
Ci sono i bersaniani che sarebbe meglio definire gli uomini del segretario. Sono le persone con cui Bersani ha condiviso più che con altri le scelte delle ultime settimane: tra loro Errani, Migliavacca e Stumpo. Attivi e presenti i deputati vicini ad Enrico Letta: Boccia su tutti. Ma crescono anche i cosiddetti “renziani”. Graziano Del Rio e Simona Bonafè per fare qualche nome.
Un altro gruppo che sta facendo molto discutere è composto dai “giovani turchi”. Fassina, Orlando, Orfini. Tutti chiamati da Bersani a collaborare nell’ultima segreteria oggi critici verso le ultime mosse del segretario. Molto interessati al dopo-Bersani. Poi ci sono deputati legati ai big: Prodi, D’Alema, Veltroni, Bindi. E tanti altri che seguono una linea autonoma in base agli eventi. Forse i centouno deputati di cui più volte si è parlato nei giorni scorsi sono più il frutto di singole posizioni che di regie e trame ordite da singoli soggetti.
Francesco Di Matteo