Per lingua madre. “Cantu de tutti li canti – cuntu de tutti li cunti – vasame cu tutti li vasi de tutta la vucca toa – megghiu de lu mieru ete quandu me ‘ncarizzi” Questo è l’incipit del Cantico dei Cantici nella riscrittura che ne fa Fabio Tolledi (Il Cantico dei Cantici per lingua madre, Astragali Edizioni 2012), direttore artistico e regista di Astragali Teatro fondato a Lecce nel 1981 e che rappresenta l’Italia all’interno dell’International Theatre Institute dell’Unesco.
[ad]Alla riscrittura in neo – salentino del Cantico segue, nel volume, la versione medievale in giudeo italiano in caratteri ebraici, e la sua traslitterazione introdotta da una nota critica di Fabrizio Lelli, docente di Lingua e letteratura ebraica.
Mistero ed erotismo sono la cifra del Cantico dei Cantici (in ebraico scir ha – scirìm), da sempre miniera inesauribile, per la straordinaria forza evocativa delle immagini che racchiude, e per i molteplici piani di lettura attraverso cui, di volta in volta, gli uomini si sono accostati ad esso. La tradizione volle attribuirne la composizione a Re Salomone, ma più probabilmente il Cantico comparve nel III o IV sec. a.C. come rielaborazione ad opera di anonimo di un corpus di testi antecedenti. Il titolo contiene un superlativo: il Cantico è quindi il più sublime di tutti i cantici, da qui il parallelo che suggerirono i rabbini tra il testo e la parte più interna del Tempio di Gerusalemme, il luogo in assoluto più sacro perché è lì che alberga Dio. Tuttavia, il Cantico dei Cantici venne inserito nel canone biblico solo un secolo dopo la nascita di Cristo.
Il Cantico dei Cantici per lingua madre (2) è stato composto da Tolledi tra il 1996 ed il 1999 Il testo nasce come cerimonia teatrale per sette giovani donne, lo scenario votato a celebrare questo rito poetico è il frantoio ipogeo, luogo costitutivo e fondativo della memoria del Salento.
Movimento/divenire/vita. Questo è il mare, questo il ritmo di chi lo attraversa, come i marinai. Un processo trasformativo analogo era quello che si compiva nei frantoi, dove in inverno lavoravano i marinai: grazie a loro le olive si facevano olio. In mare aperto e nel secretum dei frantoi si parlava quindi la stessa lingua, quella marinara.
Partendo dal confronto di molteplici traduzioni del Cantico dei Cantici, Tolledi ha poi (ri) costruito un approccio autonomo e inconfondibile alla carica vitale sprigionata dai versi. Scrive Tolledi: “Attraverso questo processo poetico non mi sono sentito vincolato nemmeno ad una lingua precisa, ad un dialetto uniforme e unico. Ho scelto di volta in volta, all’interno della coerenza intima del verso, un termine più cittadino o griko, levantino o jonico. Una pluralità di registri che ha cercato sempre la sensualità e la carnalità della poesia. Questa libertà ho cercato di riversarla anche nella traslitterazione dei caratteri, pensati più come annotazione musicale che come scrittura. La lettera respira nella multiforme sensualità dei suoni […] Scrittura di corpi che suonano parole. Danza della poesia nella bellezza assoluta di sette corpi di giovani donne che promettono vita e piacere”.
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[ad]Il binomio teatro/poesia attraversa come un filo rosso il percorso di Astragali, che intreccia due direttrici. Astragali agisce nel/il territorio salentino, dona vita nuova ai suoi luoghi più evocativi e spesso dimenticati, e al tempo stesso costruisce, incessantemente da anni, un abbraccio ideale che unisce i Paesi del Mediterraneo. Grecia, Cipro, Malta, Spagna, Turchia, Siria, Giordania, Palestina.
L’esperienza del teatro che irrompe negli scenari di guerra, sovversiva testarda e visionaria come solo l’arte sa essere, e riunisce attorno ad un ideale tavolo infinite umanità, ciascuna con il proprio sentire,frutto dei propri, unici passi. Un teatro, questo, che vuole essere mezzo di conoscenza, intesa come un processo in fieri, potenzialmente infinito, così come questa riscrittura del Cantico che, spiega Tolledi, va considerata “rispetto all’originale biblico come uno strumento che suona incessante tra la pelle sudata di due amanti che fanno conoscenza del mondo, e ridono, ridono di noi”.
Francesca Garrisi