Dell’ultimo referendum si è detto e commentato molto, come sempre i toni non peccano certo di understatement e ci si lancia in considerazioni di lungo periodo, si sprecano parole come “svolta”, aggettivi come “epocale”, tanto tranchant quanto effimeri a dispetto della loro forza espressiva, e però in un Paese con memoria breve e una circolazione frenetica di temi e argomenti anche l’eventuale riprova che erano toni esagerati non avrà l’effetto di far guardare indietro e farlo notare, e si passerà al prossimo “fatto eclatante”.
E invece si può utilizzare anche questo referendum per capire meglio e con calma quello che è successo, e come è stato vissuto, negli ultimi 18 anni.
Innanzitutto è innegabile che il raggiungimento del quorum dopo 16 anni è una importante novità, ormai si riteneva che votando sempre quasi solo i fautori del Sì il quorum fosse diventata una chimera.
E tuttavia proprio questo ci deve indurre a una riflessione: come mai è accaduto questo nonostante sui media il referendum sia stato meno dibattuto che ad esempio quello del 2005 sulla fecondazione?
Forse perchè una volta per tutte dobbiamo sfatare il mito di una prevalenza del mezzo sul contenuto, ma capire che l’elettore, anche sbagliando eventualmente, si muove non tanto o non solo perchè influenzato da un qualche bombardamento mediatico ma perchè convinto o meno della bontà di un contenuto proposto. Così, cosa cui tengo molto, sarebbero da rivedere tutti i mantra sentiti nel 2005 dopo il fallimento del referendum sulla fecondazione assistita, con quorum del 25,9%, si dovrebbe finalmente ammettere che se così tante persone rimasero a casa non fu per indifferenza o mancanza di informazioni, ma proprio perchè non condividevano quello che i referendari propugnavano.
Ciò non indica che l’elettore sia un essere razionale che analizza ciò su cui si dovrà esprimere in modo totalmente oggettivo senza passioni di parte, così si è visto in elezioni politiche dove vengono trascinati da populismi vari di destra e sinistra su immigrati o evasione fiscale, e così nei referendum in cui l’intervento dei privati nella gestione dell’acqua è stata presentata in termini catastrofisti che hanno stuzzicato la naturale indole statalista dell’italiano medio, per non citare l’allarmismo nucleare. E tuttavia anche nei casi in cui è il populismo a prevalere si tratta quasi sempre di contenuti che spingono al voto, non una immagine, non i lustrini televisivi, le battute di un politico (uno in particolare….).
Sarebbe quindi opportuno da un alto che la sinistra finisse di trovare alibi alle proprie sconfitte con l’influenza delle TV, essendosi visto che con issues e contenuti accattivanti in referendum ed elezioni amministrative il centrosinistra può vincere e convincere, e soprattutto che con l’avvento del web non si cominci con lo stesso andazzo, ovvero nello spiegare vittorie e sconfitte con una presunta egemonia della rete, che il centrodestra non cerchi alibi in questa presunta egemonia di sinistra nei social network, e la sinistra non sogni di avere trovato la chiave di future vittorie nella stessa.
L’elettore medio è una persona articolata, che sa distinguere tra argomenti, momenti e diverse elezioni: voterà in base alla propria personale ideologia e ad alcuni temi che ha cari, spesso in base alla propria posizione economica (statale, artigiano, disoccupato ecc) nelle elezioni politiche, poi alle amministrative guarderà al candidato locale a sindaco e/o magari anche a dare un messaggio di sfiducia al ogverno nazionale che ha pur votato, poi al referendum ancora baderà al contenuto, a qualcosa di cui ha paura (nucleare) e questo in gran parte a prescindere dagli equilibri di viale Mazzini e alla tendenza che impazza sul web, che piuttosto sarà uno specchio di quella del mondo reale.
Sarebbe quindi un sogno poter vedere su Corriere o Repubblica per esempio vedere occupate le migliaia di righe utilizzate per riportare commenti e analisi sul ruolo della TV, dei reality show, delle veline nella formazione del voto e recentemente ogni vignetta o video-parodia politica che gira su facebook e youtube, per discutere dei contenuti, dalle ipotesi di riforma fiscale al dibattito sulla bassa occupazione e la bassa crescita, o qualunque tema vero che non sia il solito parlarsi addosso di addetti ai lavori del mondo delle comunicazioni.