Le ultime elezioni amministrative e le successive consultazioni referendarie hanno visto un netto spostamento dell’asse privilegiato di informazione degli Italiani dalla televisione alla rete. In particolare, in entrambi gli appuntamenti sono state severamente penalizzate le forze di centrodestra. Nel caso del referendum è stato anche lo stesso popolo conservatore a punire in maniera vistosa le politiche del Governo Berlusconi.
[ad]Che la rete costituisca un mezzo di informazione in cui il centrosinistra è predominante – contraltare alla TV – o che si tratti di un generico movimento di opposizione alle forze al momento al Governo indipendentemente dal loro colore per ora non è dato saperlo; alcuni eventi occorsi appena pochi giorni dopo la conclusione della tornata referendaria sono tuttavia in grado di evidenziare un rapporto maldestro e ottuso tra la rete e un certo mondo di destra eccessivamente legato all’informazione centralizzata dell’era berlusconiana.
In data 14 giugno 2011 si è tenuta a Roma la terza edizione della Giornata Nazionale per l’Innovazione; tra i relatori, Umberto Vattani (presidente dell’ICE), Giampaolo Galli (direttore generale di Confindustria), Mario Platero (Il Sole 24 Ore) ed il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta (PdL). Proprio quest’ultimo è stato protagonista di un “incidente” i cui strascichi sono forse la spia più evidente dell’inadeguatezza della concezione dell’informazione in rete da parte di una buona fetta della classe dirigente di centrodestra.
Come mostra il video de Il Fatto Quotidiano al termine dell’intervento del Ministro due ragazze – lavoratrici precarie presso l’agenzia tecnica del Ministero del Lavoro – hanno chiesto di potergli rivolgere alcune domande; invitate a raggiungere il palco hanno appena avuto il tempo di presentarsi e dichiarare il proprio stato di precarie che Brunetta si è allontanato, dicendo: “Grazie, arrivederci. Questa è la peggiore Italia.”
Il politico veneziano ha poi abbandonato la sala, inseguito dalla voce delle ragazze che dicevano, “Se è vero che siamo la peggiore Italia, è anche vero che questa Italia va avanti grazie a noi.” Uscendo, il Ministro ha strappato uno striscione, posto da alcuni ragazzi dei Punti San Precario, che recitava “Si scrive innovazione, si legge precarietà”. A quel punto sono incominciati i cori di “Buffone” e “Pupazzo” contro Brunetta, che lasciava l’edificio letteralmente inseguito da un gruppo di precari della Pubblica Amministrazione. Senza rispondere a nessuna delle domande rivoltegli, Brunetta saliva sulla propria auto blu. Uno dei precari si metteva davanti all’auto, sfidando l’autista di Brunetta ad investirlo, fino a che non veniva allontanato, quasi a spintoni, dalle guardie del corpo.
Nella sala, in maniera quasi surreale, l’intervento delle due ragazze veniva fatto terminare a forza, e gli organizzatori tentavano di riprendere l’evento come nulla fosse. Messi alla porta, i precari nell’atrio tentavano di ribellarsi, la situazione degenerava in spintoni e schiaffi e solo alla fine si ricomponeva: senza più un reale interlocutore, ai precari non restava che lasciare l’edificio.
A questo punto l’episodio avrebbe potuto essere archiviato e rientrare nella cronaca politica minore, ma il Ministro Brunetta, tramite YouTube, ha voluto fornire già il giorno seguente la propria versione dei fatti.
Secondo tale versione ci sarebbe stato uno scambio di battute tra le precarie sul palco ed il Ministro stesso, il quale avrebbe dichiarato che il poco tempo a disposizione rendeva impossibile trattare un argomento così ampio; inoltre lo striscione, le urla e gli spintoni sarebbero eventi iniziati prima della sua frase “siete la peggiore Italia”, che quindi avrebbe costituito solo una reazione.
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In una lunga (oltre mezz’ora) intervista a Luca Telese de Il Fatto Quotidiano il Ministro non recede dalla propria posizione, minimizza il problema della precarietà nella Pubblica Amministrazione e conferma l’idea che gli sia stato teso un agguato mediatico, idea che supporta rilevando che una delle due ragazze sul palco a Roma era figlia di un ex-senatore di Rifondazione Comunista – dimenticando però che si tratta realmente di una lavoratrice precaria.
[ad]Indipendentemente dalle ragioni del Ministro, colpisce la disinvoltura con cui Brunetta si è andato a cacciare in un vero e proprio ginepraio, realizzando un video in cui si arrocca su posizioni false: il raffronto tra il video originale e la ricostruzione fatta da Brunetta non consente infatti altro aggettivo.
Le provocazioni al Ministro sono arrivate dopo la sua frase, e le due precarie sono state liquidate senza alcuna parola di spiegazione, questa è la realtà dei fatti indipendentemente dalle ragioni contrapposte dei precari e del Governo. Negando questa verità Brunetta è arrivato a indebolire la propria posizione anche a livello delle argomentazioni sel precariato, che avrebbe dovuto essere da subito il vero tema del confronto.
In realtà Brunetta ha dimostrato di non conoscere il funzionamento di base della rete e – cosa più importante – la mentalità dei fruitori del web: se in TV una serie di direttori di testata più o meno compiacenti può lasciar trapelare solo le informazioni desiderate, un’informazione immessa in rete si diffonde ad una velocità tale che è di fatto impossibile estirparla o sovrascriverla in maniera completa. Inoltre l’utente medio della rete non si accontenta dei canali di comunicazione ufficiali, e va alla continua ricerca di fonti da verificare e confrontare. Il raffronto tra la versione messa in rete da Brunetta e le fonti originali era quindi inevitabile e scontato, così come era scontato che le contraddizioni emerse non avrebbero fatto altro che incrementare la curiosità e l’indignazione degli internauti in una reazione a catena che ha ingigantito il fatto fino alle sue attuali dimensioni.
Questo approccio pasticcione e dilettantistico si ritrova anche nelle parole del deputato Giorgio Clelio Stracquadanio (PdL), che tenta di spiegare il predominio della sinistra sul web con “un esercito di dipendenti pubblici” politicizzati che ha tempo a disposizione e che anche sul lavoro si dedica a Facebook e Twitter, naturalmente in contrapposizione ad un centrodestra operoso che non ha il tempo per simili cose.
In realtà le parole di Stracquadanio sono solo un coacervo di luoghi comuni e inesattezze colossali: in primo luogo il deputato pidiellino gioca sulle equazioni “dipendenti pubblici = sinistra” e “dipendenti pubblici = fannulloni” per arrivare ad insultare chi non la pensa come lui.
Secondariamente dimentica, o probabilmente ignora, i tempi e i modi della rete. Un’informazione, una battuta su Pisapia, un invito a votare SI al referendum, costano pochi secondi, e non necessitano di una presenza costante e assidua su Internet.
Un altro punto debole del suo discorso è naturalmente l’aver trascurato l’elemento giovanile e studentesco, che invece tanta parte ha nella vita della Rete nel nostro Paese.
Infine, e cosa forse fondamentale, l’attività in rete viene vista come di serie B, appannaggio dei fannulloni con tempo da perdere, mentre i veri lavoratori non hanno il tempo di utilizzarla. Questa concezione della rete come oggetto di svago è in realtà del tutto mitologica, e probabilmente non ha mai avuto, nell’intera storia di Internet, lo stato di verità.
La realtà è invece che la destra, la sua classe dirigente ed in parte il suo popolo, hanno prosperato nell’egemonia mediatica berlusconiana, e si sono trovati del tutto impreparati ad affrontare un mezzo di comunicazione rapido, diffuso e condiviso come la rete quando questo ha smesso di essere marginale nell’informazione italiana. Berlusconi, il suo modo di fare politica, e la sua persistenza sulla scena oltre ogni tempo massimo si stanno rivelando anche da questo punto di vista un boomerang per il futuro della destra italiana.