Il dado è tratto: la finale 2013 della Champions League sarà a tutti gli effetti “Das Finale”, il trionfo del calcio tedesco. Anche la Germania, dunque, riesce a portare un derby in finale, raggiungendo in tale traguardo le altre grandi d’Europa, a partire dalla Spagna (Real Madrid-Valencia, 2000) sino all’Inghilterra (Manchester United-Chelsea, 2008) e passando per l’Italia (Juventus-Milan, 2003). Un risultato che riporterà una squadra tedesca sul tetto d’Europa a 12 anni dall’ultimo trionfo, quel Bayern-Valencia del 2001 che vide prevalere i bavaresi allenati da Ottmar Hitzfeld. Ed è proprio l’attuale selezionatore della Svizzera il filo conduttore tra le due attuali finaliste, essendo l’artefice dei loro ultimi trionfi in campo continentale, avendo allenato prima il Borussia campione d’Europa nel ’97 e quindi il Bayern nel 2001.
[ad]Il Bayern Monaco ha letteralmente annichilito il Barcellona. Il 7-0 complessivo nei due incontri rappresenta l’emblema del passaggio di consegne nell’élite del calcio continentale. Forse è ancora presto per considerare chiuso un ciclo come quello del Barcellona che, nonostante tutto, ha raggiunto la sua settima finale in otto anni e resta ad un passo dalla conquista della sua 22-esima Liga. Forse il risultato complessivo è in parte influenzato da un netto divario di condizione atletica tra le due squadre; in ciò soprattutto i problemi fisici del quattro volte pallone d’oro Lionel Messi non possono essere tralasciati. Certo è che la crescita del Bayern sembra arrivata ad un punto di non ritorno: dopo due finali perse in tre anni, questa è la vera occasione per inaugurare un nuovo ciclo in salsa teutonica. Perché dalle finali perse si impara molto, ma solo iniziare a vincerle porta a quella consapevolezza dei propri mezzi tale da poter permettere di porre le basi per un lungo ciclo incontrastato.
Anche l’altra semifinale ha significati molto profondi. La rimonta incompiuta lascia al Real Madrid l’amaro in bocca, nonché una buona dose di rimpianti, per la brutta prestazione fornita nella gara d’andata. Va detto però che il Borussia Dortmund nei quattro scontri stagionali tra le due squadre non è mai apparso davvero inferiore ma, anzi, ha spesso sovrastato i blancos. La sentenza del Bernabeu rappresenta un ulteriore capitolo della favola Borussia, un gruppo di giovani rinato dalle ceneri di una società sull’orlo del fallimento economico e che, dopo due scudetti meritatissimi ed una prima esperienza deludente nella CL della scorsa stagione (e anche qui si ritorna sull’importanza dell’imparare dalle sconfitte), arriva in finale rispettando il pronostico dato dagli esperti ad inizio stagione, i quali pur non inserendo i giallo-neri tra i favoriti alla vittoria finale, consideravano estremamente concrete le possibilità che potessero arrivare molto avanti nella competizione. Questa finale per il Dortmund rappresenterà la fine di un ciclo. O meglio, di un mini-ciclo all’interno di un ciclo ancor più grande in quanto, nonostante la possibile partenza di nomi eccellenti, il serbatoio di giovani presente in Renania è così ben fornito da poter ipotizzare un’immediata ripartenza ad alti livelli.
La semifinale del Bernabeu è però, quasi certamente, anche l’epilogo dell’esperienza di Mourinho sulla panchina madrilena. Un bilancio che ha portato ad uno scudetto, una Coppa del Re (con un’altra da giocarsi a breve in finale nel derby contro l’Atletico) ed una Supercoppa di Spagna difficilmente può essere considerato fallimentare. In realtà Mou era stato dipinto come il profeta arrivato a Madrid con l’obiettivo principale di far conquistare al Real “la decima” (Champions League), fresco di trionfo con l’Inter e forte di un palmarés che lo vedeva come unico allenatore in attività insieme ad Hitzfeld ad aver vinto la CL con due squadre diverse.
Le tristi riflessioni di ieri (“in Spagna mi odiano, vorrei andare dove mi amano”) rappresentano dunque anche un’ammissione di fallimento, nonostante le tre semifinali consecutive. Forse la prima grande debacle della carriera del tecnico portoghese, dopo aver trascinato il Porto sul tetto d’Europa, il Chelsea alla vittoria della Premier League dopo 50 anni e l’Inter ad uno storico Triplete. E a Madrid, ironia della sorte, incombe l’ombra di uno che ha tutte le carte in regola per concretizzare il sogno irrealizzato di Mou di vincere la terza coppa dalle grandi orecchie da allenatore, portando contemporaneamente i blancos in doppia cifra: Carlo Ancelotti.