In Islanda, il presidente della Repubblica Ólafur Ragnar Grímsson ha incaricato Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, leader del Partito progressista, di avviare i colloqui per la formazione di un nuovo governo. Ed è una sorpresa. Subito dopo le elezioni in Islanda di sabato scorso si pensava che a ricevere l’incarico sarebbe stato Bjarni Benediktsson, alla testa del Partito dell’Indipendenza, che seppur di poco è risultato essere la principale forza del paese.
[ad]In effetti, però, entrambi i partiti hanno 19 seggi ed è il Partito progressista ad aver fatto segnare la crescita più marcata rispetto al voto di quattro anni fa. Un dettaglio di cui il presidente della Repubblica d’Islanda ha tenuto conto. Inoltre, ha spiegato Grímsson, a chiedergli di dare l’incarico a Sigmundur Davíð Gunnlaugsson sono stati anche i leader dei socialdemocratici e del Partito dei Pirati nel corso dei colloqui dei giorni scorsi. Entro la prossima settimana le trattative dovranno portare alla nascita di un esecutivo che con tutta probabilità sarà formato dal duo Partito progressista-Partito dell’Indipendenza.
Intanto in Danimarca gli insegnanti sono tornati nelle loro classi. Dopo quattro settimane di serrata, il governo è intervenuto obbligandoli ad accettare le nuove condizioni di lavoro: è destinato dunque a sparire il tetto delle 25 ore di insegnamento a settimana, che i docenti ritengono fondamentale per avere il tempo di prepararsi a dovere. Da lunedì le classi sono tornate a essere piene. Contenti gli alunni, contenti i genitori, un po’ meno gli insegnanti: abbiamo perso un mese di stipendio e non ci abbiamo guadagnato nulla, dicono in tanti. Il sindacato si augura che possano arrivare compromessi soddisfacenti sugli orari di lavoro. L’intervento del governo assomiglia a una tregua utile in attesa di mosse successive. A breve, del resto, si aprirà il tavolo dove verrà discussa la riforma scolastica e per il governo guidato dalla laburista Thorning-Schmidt sarà un’altra partita delicata. Ma la premier ci arriva dopo aver chiuso un accordo sul ‘pacchetto Crescita’ presentato poche settimane fa. L’obiettivo resta quello di creare 150 mila posti di lavoro entro il 2020. A oggi sembra però una cifra difficilmente raggiungibile considerato che la crescita dell’economia danese dovrebbe essere peggiore delle previsioni. La vera urgenza, per il governo guidato dai laburisti, è però ritrovare il prima possibile un buon rapporto con gli elettori e con i danesi in generale. Ieri la premier Thorning-Schmidt è stata duramente e platealmente contestata ad Aarhus, dove si trovava per le celebrazioni del primo maggio. Le è stata anche gettata addosso dell’acqua. La polizia ha fermato quattro persone. Un segnale chiaro del clima che si respira nel paese.
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Problemi ce li ha pure il governo finlandese. Gli ultimi sondaggi hanno messo di malumore più di qualcuno, a Helsinki. Il Partito di Coalizione Nazionale del premier Katainen è stato scavalcato dal Partito di Centro ed è braccato dai Veri Finlandesi, vale a dire i due partiti di opposizione. Non è un dramma, dice Katainen; ma il partito deve fare una seria riflessione, aggiunge. Per il primo ministro queste sono settimane da superare in fretta.
[ad]Qualche giorno fa Katainen s’era sfogato nel corso di una intervista: “Le difficoltà che ci sono state all’interno del governo per arrivare a delle decisioni alla fine hanno offuscato le decisioni stesse” ha affermato. Poi sono arrivati i sondaggi, che Katainen ha letto proprio alla luce delle complicate settimane vissute dalla coalizione che guida. Ma per ora non sono in agenda interventi, né ci sarà un rimpasto di governo come chiesto dalla seconda forza dell’esecutivo, i socialdemocratici.
Molto più politico è il dibattito in Norvegia, dove tutti i partiti restano concentrati sull’appuntamento elettorale d’autunno. E anche i discorsi che sono rimbalzati ieri in giro per il paese, in occasione della festa dei lavoratori, sembravano scritti con un occhio al voto del prossimo 9 settembre. Ma questi a Oslo sono stati i giorni del Partito Popolare Cristiano che ha minacciato di sedere all’opposizione nel caso in cui Destra e Partito del Progresso siano in grado di formare da soli un nuovo governo. Non tutti nel partito sono su questa lunghezza d’onda, ma NRK ha sottolineato lo stesso come sia appeso a un filo il progetto di dar vita a un esecutivo che raggruppi i quattro partiti di centrodestra, così come auspicato dalla leader della Destra, Erna Solberg.
Non solo: Knut Arild Hareide, giovane leader del Partito Popolare Cristiano, ha affermato che se il suo partito dovesse comunque far parte dell’esecutivo, lui non intende essere ministro. Al primo posto, dice, c’è l’interesse del partito. Dietro queste dichiarazioni c’è calcolo politico. Gli ultimi sondaggi lasciano pensare che Destra e Partito del Progresso possano da soli arrivare alla maggioranza dei seggi. E se non dovessero farcela sarà comunque per pochissimo. A cosa servirebbero due alleati minori, a quel punto? Che impatto avrebbero sulle politiche governative? A chiederselo solo proprio i due piccoli partiti che in quel governo potrebbero entrarci, i Liberali e il Partito Popolare Cristiano. Il rischio è quello di fare la fine del Partito di Centro e del Partito della Sinistra Socialista, destinati nel voto di autunno a pagare caro gli otto anni di governo insieme ai laburisti. Una fine che liberali e cristiano popolari non vogliono proprio fare.