Un referendum elettorale “zoppo”?

Pubblicato il 29 Giugno 2011 alle 11:43 Autore: Francesca Petrini
referendum

[ad]Per quanto riguarda il terzo quesito, pure a carattere eterogeneo, il professor Fusaro ritiene che esso possa definirsi iper‐manipolativo, nel senso che “abroga parole dal testo vigente al preciso scopo di utilizzarlo come una semplice raccolta di vocaboli col quale costruire un testo del tutto alternativo”. Si noti che la Corte costituzionale ha ammesso l’esperibilità di referendum abrogativi parziali in materia elettorale e, allo stesso tempo, ha individuato limiti specifici alle possibili opere di ritaglio del testo, escludendo quindi l’ammissibilità di quei quesiti referendari che, attraverso una “iper-manipolazione” del testo, propongono al corpo elettorale di pronunciarsi non su una “sottrazione di contenuto normativo”, quanto – al contrario – sull’introduzione di una normativa creata ex novo (sentenza Corte cost. n. 36 del 1997). Inoltre, nel caso di specie, Fusaro sottolinea che il sistema elettorale risultante dal terzo quesito “non è chiaro come potrebbe funzionare stante il fatto che i collegi uninominali non esistono più nell’attuale legge né si vede come potrebbero rivivere a seguito del referendum”. Sulla stessa scia, anche Barbera chiaramente afferma che si tratta di “uno specchietto per le allodole” che priva l’elettore sia del potere di scelta dei governi, sia del potere di scelta dei candidati.

Di conseguenza, pare che i quesiti non siano in fondo in grado di mantenere quanto promettono, ovvero il superamento delle liste bloccate: infatti, come nota  Ceccanti, “eliminando il premio di maggioranza e più in generale le coalizioni, senza poter introdurre i collegi” si verrebbe a configurare un sistema elettorale anche peggiore di quello previsto attualmente, “facendo decidere il governo ai partiti dopo il voto, restaurando a livello nazionale il sistema pre ‘93”. Pertanto, prosegue il costituzionalista, “Il comitato Passigli, dietro la finzione dell’impossibile ritorno delle preferenze, nasconde la piena delega ai partiti per governi privi di legittimazione popolare. Un vero ritorno all’ancien regime”. Dunque, se pure i summenzionati quesiti potrebbero conseguire l’obiettivo dell’abolizione dei premi di maggioranza e della lista bloccata, in assenza di un sistema fondato su collegi uninominali o di una reintroduzione delle preferenze, l’intento dichiarato dei promotori (ovvero il non sacrificare più la rappresentatività, nell’espressione del voto. E di riavvicinare i cittadini e la loro partecipazione alla cosa comune”), ne risulterebbe comunque frustrato: verrebbe a configurarsi un sistema elettorale privo di garanzie di voto decisivo in quanto a governo e candidati, entrambi determinati dai partiti solo in un momento successivo alla consultazione popolare. In tal senso, potrebbe forse configurarsi una ulteriore causa di inammissibilità dei quesiti: essi potrebbero, infatti, considerarsi intrinsecamente irrazionali o incongruenti, laddove il contenuto non abrogativo degli stessi lascia in vita norme contrarie agli obiettivi avuti di mira dal comitato promotore.

In conclusione, se il voto decisivo nella scelta del governo è ciò che, distinguendo la seconda dalla prima fase repubblicana, ha permesso in anni recenti l’alternanza politica e, in misura minore, la stabilità del governo nazionale, forse sarebbe auspicabile un ritorno al Mattarellum, piuttosto che un sistema elettorale come quello configurato dai quesiti referendari di recente proposti che, in definitiva, “delegano” ai partiti la scelta del governo dopo il voto, non garantendo un collegamento tra l’operato di questi e le domande provenienti dalla società civile.

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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