Dopo la vittoria dei referendum del 12 e 13 giugno scorsi, già è partita una nuova sfida di parte della società civile che mira a porre rimedio ai danni prodotti dalla legge elettorale di Calderoli, da lui stesso denominata “porcata”.
[ad]Il comitato promotore per il referendum sulla legge elettorale, che ha adattato lo slogan “Io Firmo. Riprendiamoci il voto”, è guidato da Stefano Passigli, ex parlamentare dei Ds, professore universitario e politologo. Già protagonista di campagne referendarie (nel 2009 si inventò un Comitato per l’astensione), non crede al fatto di poter modificare la legge nell’attuale Parlamento e quindi ritiene che l’unico modo per eliminarne i difetti sia intervenire su quattro punti fondamentali, ricorrendo alla consultazione popolare. Dichiara:
“L’intento è quello di non sacrificare più la rappresentatività, nell’espressione del voto. E di riavvicinare i cittadini e la loro partecipazione alla cosa comune. Questa legge elettorale raggiunge l’obiettivo contrario. Impedisce una selezione dei candidati, bloccando le liste”.
L’attenzione degli organizzatori dell’iniziativa si concentra su quattro punti relativi al sistema elettorale configurato dal Porcellum. In particolare:
1) Gli elettori scelgono fra liste bloccate, ossia preconfezionate dai partiti, senza possibilità di indicare una preferenza e limitandosi dunque ad “approvare” scelte già prese
==> conseguentemente: carenza di un legame diretto tra rappresentato e rappresentante.
2) Il premio di maggioranza assegna minimo 340 seggi alla Camera dei Deputati alla coalizione che ottiene la maggioranza relativa dei voti. Al Senato, invece, il premio di maggioranza è assegnato ad ogni coalizione vincente localmente, con i seggi attribuiti su base regionale
==> conseguentemente: la ricerca del premio comporta la costruzione di alleanze spesso instabili.
3) C’è l’obbligo per ciascuna forza politica di indicare il proprio leader per la Presidenza del Consiglio
==> conseguentemente: surrettizia trasformazione della forma di governo da parlamentare a semi-presidenziale.
4) La soglia di sbarramento non è unica: si tratta del 10% per le coalizioni, a patto che abbiano almeno un partito sopra il 2%, e del 4% per i singoli partiti, inclusi eventualmente anche quelli facenti parte di una coalizione che non ha superato il 10%
==> conseguentemente: vantaggio delle liste collegate in coalizione e conseguenze pratiche simili a quelle del punto 2.
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[ad]Numerosi sono stati gli interventi in linea con gli orientamenti del comitato promotore, tutti tesi a sottolineare gli orrori del Porcellum. Per Giovanni Sartori, “il premio di maggioranza dato a una minoranza è il vizio maggiore della legge” in quanto “falsa tutto il sistema politico: le leggi elettorali trasformano i voti in seggi e questa legge li trasforma male”. Secondo il politologo, modelli adattabili al contesto italiano potrebbero essere il doppio turno alla francese o il sistema tedesco, ma in ogni caso, in merito alle motivazioni che lo spingono ad appoggiare l’iniziativa referendaria, sottolinea come questa sia “il rimedio contro l’inerzia dei partiti in materia di legge elettorale”. Anche per Enzo Cheli il Porcellum “dopo la legge Acerbo, è la peggiore legge elettorale della storia italiana” e, senza approfondire il discorso circa l’esclusione di intere aree sociali dal Parlamento, configurando il premio di maggioranza come un bonus seggi vinto dalla coalizione che prende il maggior numero di voti, senza però averne raggiunto una soglia minima, è un sistema a “a rischio di costituzionalità”. Così, in attesa di raggiungere, entro settembre, le 500mila firme valide necessarie a presentare i quesiti alla Corte di Cassazione, tra le prime adesioni compaiono nomi noti della cultura italiana tra i quali Umberto Ambrosoli, Alberto Asor Rosa, Corrado Augias, Tullio De Mauro, Umberto Eco, Carlo Feltrinelli, Inge Feltrinelli, Dacia Maraini, Renzo Piano, il già citato Giovanni Sartori, Corrado Stajano, Massimo Teodori, Domenico Fisichella, Margherita Hack.
Al contrario, dall’iniziativa referendaria prende apertamente le distanze Mario Segni, padre dei primi referendum elettorali che negli anni Novanta portarono all’abolizione della preferenza multipla e all’introduzione dei collegi uninominali, il quale dichiara “E’ il ritorno alla peggiore partitocrazia, al periodo più squallido della prima Repubblica, ai governi fatti e disfatti dai partiti alla spalle dei cittadini”. Se dal mondo dei partiti, l’unico segno di approvazione verso questa iniziativa referendaria arriva dall’Udc, contrari sono i Radicali, da sempre sostenitori del maggioritario, ed esponenti del Pd più sensibili ai temi della riforma elettorale, come il senatore e costituzionalista Stefano Ceccanti: si tratterebbe, secondo quest’ultimo, di un vero e proprio ritorno ai governi decisi dai partiti. Della stessa opinione un altro costituzionalista, Augusto Barbera, secondo il quale il quesito referendario, pensato per reintrodurre le preferenze nelle intenzioni dei promotori, finirebbe per configurare un sistema elettorale peggiore di quello della c.d. Prima Repubblica, ovvero un “proporzionale senza la facoltà di scelta dei cittadini né per il governo né per i candidati”. Ancora, similmente, Salvatore Vassallo, professore di Politica Comparata e deputato Pd, in merito agli effetti del referendum abrogativo dichiara che il risultato sarebbe quello di un sistema “perfettamente proporzionale con il solo effetto di azzerare la scelta dell’elettore sul Governo, cioè di eliminare l’unico aspetto ragionevole del Porcellum. Più che di un miglioramento, pare trattarsi di una controriforma partitocratica che riporterebbe le lancette indietro di vent’anni”.
Al fine di valutare nel merito la scelta elettorale di cui si sta trattando, rimandando ad altra occasione riflessioni riguardo l’opportunità di sottoporre a voto popolare la disciplina in materia elettorale, proviamo ad illustrare i quesiti referendari per come sono stati presentati nel documento “Io firmo-Riprendiamoci il voto” e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 133 del 10 giugno scorso. I tre quesiti, che si propongono una pluralità di obiettivi, che sono:
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[ad]1) Abrogazione del premio di maggioranza alla Camera, della facoltà stessa di collegamento fra liste (coalizioni), conseguente estensione a tutte le liste dello sbarramento al 4%, abolizione della indicazione del capo della forza politica che presenta liste sia in caso di coalizione (ovviamente) sia anche in caso di lista singola (QUI il testo);
2) Abrogazione del riferimento all’ordine di presentazione in lista (lista c.d. bloccata) per l’elezione dei Deputati, e contemporanea abolizione della possibilità di candidarsi in più circoscrizioni (QUI il testo);
3) Abrogazione del premio di maggioranza al Senato e dei riferimenti all’elezione dei senatori secondo l’ordine di presentazione in lista (quindi, anche qui, del meccanismo della lista bloccata), abolizione delle coalizioni ed estensione a tutte le liste dello sbarramento su base regionale (variabile a seconda del numero dei seggi da eleggere per ciascuna regione); sarebbero altresì aboliti i rinvii alla legge elettorale Camera che prevedono anche per il Senato il riferimento al capo della coalizione o della lista (QUI il testo).
Secondo quanto riportato nella memoria relativa all’audizione del professor Carlo Fusaro, presso la Prima Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica lo scorso 22 giugno, a una prima e semplice lettura dei quesiti, si palesa chiaramente la natura eterogenea degli stessi, evidentemente tutti comprensivi di una pluralità di oggetti e, pertanto, difficilmente riconducibili ai requisiti di matrice unitaria e di omogeneità (di cui alle sentenze n. 26 del 1997; n. 47 del 1991 e n. 16 del 1978 della Corte costituzionale), indispensabili al fine di superare il vaglio di ammissibilità. In particolare, per quanto concerne il primo quesito, è ancora Stefano Ceccanti a sottolineare che, sebbene astrattamente condivisibile, esso “è manifestamente inammissibile perché alla giusta e corretta eliminazione delle candidature multiple aggiunge l’abrogazione dei riferimenti all’ordine di lista senza poter far rivivere né collegi uninominali né preferenze”. Allo stesso modo, Augusto Barbera aggiunge: “Mi meraviglio che i promotori non dicano fino in fondo la verità, che cioè se avesse successo la loro iniziativa verrebbe abolito il premio di maggioranza ma non verrebbe ripristinato il potere di scelta dei cittadini, né attraverso il collegio uninominale né attraverso il voto di preferenza”.
In merito al secondo quesito, poi, oltre alla sua caratterizzazione di tipo eterogeneo, si noti che esso comporta la creazione di un vuoto normativo che, secondo Carlo Fusaro, sarebbe difficilmente colmabile alla luce “della più recente giurisprudenza della Corte referendaria e non solo”. In sostanza, pare che la c.d. “tecnica del ritaglio”, ovvero quella tecnica consistente nel sottoporre al quesito referendario parole, sintagmi o brevi proposizioni privi di contenuto normativo, al fine di sostituire la disciplina investita dalla domanda referendaria con un’altra disciplina, produca, nel caso di specie, una normativa di risulta non compiuta: infatti, se la legge elettorale fosse modificata come su indicazione dei promotori di questi referendum, di fatto “non si saprebbe come attribuire i seggi fra i candidati di liste per le quali l’ordine di presentazione non dovrebbe valere senza essere sostituito da nulla”, e pertanto potrebbe forse configurarsi una inammissibilità data dal fatto che l’esito abrogativo rende inoperante una parte rilevante della normativa.
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[ad]Per quanto riguarda il terzo quesito, pure a carattere eterogeneo, il professor Fusaro ritiene che esso possa definirsi iper‐manipolativo, nel senso che “abroga parole dal testo vigente al preciso scopo di utilizzarlo come una semplice raccolta di vocaboli col quale costruire un testo del tutto alternativo”. Si noti che la Corte costituzionale ha ammesso l’esperibilità di referendum abrogativi parziali in materia elettorale e, allo stesso tempo, ha individuato limiti specifici alle possibili opere di ritaglio del testo, escludendo quindi l’ammissibilità di quei quesiti referendari che, attraverso una “iper-manipolazione” del testo, propongono al corpo elettorale di pronunciarsi non su una “sottrazione di contenuto normativo”, quanto – al contrario – sull’introduzione di una normativa creata ex novo (sentenza Corte cost. n. 36 del 1997). Inoltre, nel caso di specie, Fusaro sottolinea che il sistema elettorale risultante dal terzo quesito “non è chiaro come potrebbe funzionare stante il fatto che i collegi uninominali non esistono più nell’attuale legge né si vede come potrebbero rivivere a seguito del referendum”. Sulla stessa scia, anche Barbera chiaramente afferma che si tratta di “uno specchietto per le allodole” che priva l’elettore sia del potere di scelta dei governi, sia del potere di scelta dei candidati.
Di conseguenza, pare che i quesiti non siano in fondo in grado di mantenere quanto promettono, ovvero il superamento delle liste bloccate: infatti, come nota Ceccanti, “eliminando il premio di maggioranza e più in generale le coalizioni, senza poter introdurre i collegi” si verrebbe a configurare un sistema elettorale anche peggiore di quello previsto attualmente, “facendo decidere il governo ai partiti dopo il voto, restaurando a livello nazionale il sistema pre ‘93”. Pertanto, prosegue il costituzionalista, “Il comitato Passigli, dietro la finzione dell’impossibile ritorno delle preferenze, nasconde la piena delega ai partiti per governi privi di legittimazione popolare. Un vero ritorno all’ancien regime”. Dunque, se pure i summenzionati quesiti potrebbero conseguire l’obiettivo dell’abolizione dei premi di maggioranza e della lista bloccata, in assenza di un sistema fondato su collegi uninominali o di una reintroduzione delle preferenze, l’intento dichiarato dei promotori (ovvero il “non sacrificare più la rappresentatività, nell’espressione del voto. E di riavvicinare i cittadini e la loro partecipazione alla cosa comune”), ne risulterebbe comunque frustrato: verrebbe a configurarsi un sistema elettorale privo di garanzie di voto decisivo in quanto a governo e candidati, entrambi determinati dai partiti solo in un momento successivo alla consultazione popolare. In tal senso, potrebbe forse configurarsi una ulteriore causa di inammissibilità dei quesiti: essi potrebbero, infatti, considerarsi intrinsecamente irrazionali o incongruenti, laddove il contenuto non abrogativo degli stessi lascia in vita norme contrarie agli obiettivi avuti di mira dal comitato promotore.
In conclusione, se il voto decisivo nella scelta del governo è ciò che, distinguendo la seconda dalla prima fase repubblicana, ha permesso in anni recenti l’alternanza politica e, in misura minore, la stabilità del governo nazionale, forse sarebbe auspicabile un ritorno al Mattarellum, piuttosto che un sistema elettorale come quello configurato dai quesiti referendari di recente proposti che, in definitiva, “delegano” ai partiti la scelta del governo dopo il voto, non garantendo un collegamento tra l’operato di questi e le domande provenienti dalla società civile.