Prima intervista rilasciata da Pierluigi Bersani dopo le dimissioni da segretario del Partito democratico. Sull’Unità di oggi, infatti, si trova un lungo colloquio tra l’ormai ex segretario e il giornalista Simone Collini.
[ad]Svariati i punti toccati da Bersani, a cominciare dalle note nefandezze riguardanti l’elezione del Presidente della Repubblica, a proposito delle quali il giudizio è molto netto: “siamo venuti meno a delle decisioni formali e collettive. Che possono essere variamente giudicate – anche se io le ritengo assolutamente giuste, e nelle condizioni date le uniche possibili e coerenti con i nostri deliberati – ma che restano, ripeto, decisioni formali e collettive”.
Ma perché il Pd si è dissolto, e per di più su nomi di due fondatori del partito, nelle votazioni sul Quirinale? Per Bersani vi sono almeno tre ragioni fondamentali: “primo, un deficit di autonomia, una nostra incomprensibile permeabilità, una difficoltà ad esercitare un ruolo di rappresentanza, di orientamento, di direzione. Secondo, l’incapacità di distinguere tra funzioni istituzionali, come è quella del Presidente della Repubblica, e funzioni politiche e di governo. Terzo, l’irrompere di rivalse, ritorsioni, protagonismi spiccioli di fronte a un passaggio di enorme portata. È l’insieme di questi problemi che mi fa dire che è arrivato il tempo di dirimere un tema: vogliamo essere un soggetto politico o uno spazio politico dove ognuno esercita il proprio protagonismo?”.
Il colloquio prosegue con un riferimento al fallimentare tentativo di costituire un governo di cambiamento con il Movimento 5 stelle; su questo punto l’ex segretario non molla e rivendica il proprio operato: “So bene che fra di noi ci sono parecchi che hanno ritenuto irrealistica quella prospettiva. Ma c’era troppo realismo in quei giudizi. Il vero realismo sta nella connessione al Paese, alle sue esigenze. Quello era un tentativo che aveva dentro un elemento di azzardo, di combattimento, ma non era irrealistico, non sarebbe stato irrealistico, anche se certo in quella prima fase della vicenda, non era irrilevante il fatto che il Presidente della Repubblica non avesse la pienezza dei propripoteri”.
Non poteva mancare poi, un accenno alla mancata convergenza, da parte del Pd, sul nome di Rodotà: “ dopo quanto successo con Marini e con Prodi, pensiamo davvero che ci sarebbero stati i voti per Rodotà? Dopodiché non è accettabile un prendere o lasciare, dire o così o niente. Il Movimento 5 Stelle ha sempre rifiutato qualsiasi dialogo sul governo e sul presidente della Repubblica. Rodotà è una figura degnissima ma è stata strumentalizzata per un’operazione politica finalizzata a creare difficoltà piuttosto che a ricercare soluzioni”.
L’intervista si conclude con un accenno al congresso del Pd, partito dal futuro sempre più nebuloso:“ ci vuole un congresso vero, che sia svincolato dalla scelta di un candidato premier, visto che per la prima volta da quando esiste il Pd un presidente del Consiglio lo abbiamo. Quindi penso che sia possibile avviare una procedura per arrivare a una modifica dello statuto tale per cui non ci sia più coincidenza tra la figura del segretario e quella del candidato premier. Serve aprire subito una discussione che consenta di affrontare i temi che dicevamo prima, la natura del Pd, la sua missione, le sue responsabilità di fronte al Paese. E auspico che l’Assemblea di sabato non sia un mini-congresso”.