Governo Letta la diversa strategia tra pd e pdl
[ad]Se per esempio il centrosinistra, dopo anni di elaborazione politica sul tema della cittadinanza data ai figli degli immigrati nati in Italia, si permette di proporre lo ius soli o provvedimenti analoghi si alzano gli strali del PDL contro la proposta. Se invece da parte del PdL c’è la tendenza a chiedere garanzie sull’Imposta Municipale Unica nella migliore delle ipotesi si derubrica il problema (esempio: sospendiamo la rata di giugno dell’Imu per rivedere in futuro la tassazione sulla casa), nella peggiore invece si cerca di andare incontro alle istanze pidilliene attraverso un’operazione di compromesso (esempio: Saccomanni si è insediato da poco, ma senz’altro faremo in modo di andare verso un’abolizione della tassa sulla prima cosa).
L’andazzo è testimoniato anche da alcuni atteggiamenti del centrodestra nei confronti del Pd. Se per esempio, durante la prima chiama per il Presidente della Repubblica, abbiamo assistito ad una paradossale scena in cui il nome proposto dal Pd era votato con convinzione dal PDL e con amarezza dal Pd (con Gasparri che, pur nell’intesa coi democratici, accusava Bersani di aver aperto il congresso del partito ad urne aperte) oggi assistiamo a Renato Brunetta che, a proposito del sottosegretari, segnala l’occupazione del centrosinistra di tutte le maggiori cariche istituzionali. Affermando che “ai democratici lasciamo due-tre sottosegretari”. Lasciamo, appunto. Come se il PDL fosse il king maker dell’operazione. Come se avesse la golden share dell’esecutivo.
E’ proprio vero. Berlusconi all’opposizione, anche quando non lo è formalmente, è un maestro. In grado di logorare nel migliore dei modi l’avversario. Al tempo stesso il Pd deve rendersi conto che non occorre essere eternamente supini e subalterni. Anche se si ha tutto da perdere da un ritorno alle urne.