L’esito – almeno parzialmente inaspettato – delle consultazioni amministrative e referendarie, i sondaggi che sempre di più indicano il centrosinistra come prima forza del Paese, e le oggettive difficoltà in cui la maggioranza parlamentare si trova sempre più invischiata hanno riportato in auge uno dei temi forse più scottanti dell’attualità politica italiana, la leadership del centrosinistra e con essa la questione delle primarie di coalizione.
[ad]Il grande successo dei candidati scelti attraverso lo strumento delle primarie, da Pisapia a Zedda a Fassino, e la tradizione ormai fatta propria dal Partito Democratico, hanno sancito in maniera pressoché definitiva l’utilizzo di tale strumento nella scelta del prossimo candidato alla Presidenza del Consiglio.
Se tuttavia non paiono esservi dubbi sulla scelta di indire le elezioni primarie, ad oggi sono ancora vivi i contrasti tra le varie anime della coalizione sulle tempistiche in cui il popolo di centrosinistra dovrebbe essere portato alle urne per la scelta del proprio candidato alle elezioni politiche.
Le posizioni predominanti sul tema sono due: secondo la prima visione le primarie dovrebbero essere l’attuale priorità del centrosinistra e la scelta del leader la prima operazione da effettuare; la seconda ipotesi vede invece la necessità di definire il programma ed i confini dell’alleanza prima di iniziare il processo di decisione del candidato. Le due posizioni sono capitanate dai quelli che ad oggi sono anche i principali candidati alla competizione, il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ed il segretario del Partito Democratico Pierluigi Bersani.
Se nei mesi passati diversi commentatori politici avevano liquidato la questione in modo anche piuttosto superficiale adducendo le differenti posizioni alle becere probabilità di vittoria del candidato con Vendola nel pieno della sua popolarità e Bersani schiacciato dalle beghe interne al PD, il sostanziale riequilibrio tra i due venutosi a creare nell’ultimo periodo nell’umore dell’opinione pubblica finalmente consente analisi che entrino maggiormente nel merito, e non trattino da mero opportunismo politico quella che è invece una questione fondante e costitutiva dello strumento primarie e in ultima analisi dell’intero assetto politico italiano.
Tra le principali ragioni di chi sostiene la necessità di svolgere le primarie il prima possibile spicca il tema della partecipazione. Se i limiti della coalizione vengono decisi in anticipo, chi non si riconosce nei partiti che decidono di correre assieme certamente non sarà invogliato a votare alle primarie. I comitati referendari, le donne del movimento “se non ora quando”, per non parlare dei tanti delusi dalla politica, sono nel centrosinistra italiano un bacino rilevante che potrebbe non essere disposto a scelte coltivate all’interno del perimetro dei partiti.
Un punto forse altrettanto importante è quello del programma. Se il programma fosse condiviso tra le segreterie dei partiti della coalizione, quale sarebbe la differenza politica tra i candidati? Ne conseguirebbe uno snaturamento, secondo i sostenitori di questa tesi, delle primarie stesse, relegate a scegliere, anziché una visione, semplicemente un volto che la incarni.
Infine, la necessità di trovare una sintesi unitaria e duratura, in modo da presentare la coalizione come reale alternativa al monolite – almeno mediaticamente – berlusconiano e sfatare la tradizione di litigiosità che attanaglia il fronte progressita del panorama italiano non può essere soddisfatta se non scegliendo da subito il leader, in modo da offrire al centrosinistra, nel tempo che precede l’appuntamento elettorale, un’opportunità di mostrarsi unito e coeso sotto il vincitore delle primarie.
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[ad]Chi è invece dell’idea di procrastinare sostiene che solo con la definizione di un programma di massima è possibile capire i paletti che ciascun partito e movimento interessato considera inderogabili: unicamente definendoli è possibile innescare con certezza il circolo virtuoso del “chi perde sostiene chi vince” che è stata la chiave dei successi del centrosinistra in città storicamente ostili come Milano o Cagliari. Questo insieme di punti fondamentali definisce sì, quindi, un perimetro alla coalizione, ma un perimetro necessario per evitare spaccature o ripensamenti a seconda dell’esito delle consultazioni.
La definizione di un simile programma, inoltre, non metterebbe in secondo piano l’impronta personale dei singoli candidati, che sullo scheletro condiviso da tutte le parti in causa avrebbero ampio spazio, secondo chi sostiene questo approccio, per costruire la propria visione di centrosinistra. Infine, alla necessità di presentare agli italiani un modello di coalizione che non sia quello litigioso del 2006, i sostenitori di questa seconda filosofia oppongono il valore elettorale offerto dalla consultazione che di fatto, con una campagna elettorale supplementare, riesce a smuovere ed oliare quei meccanismi di attivazione e partecipazione che risultano poi così importanti per il buon esito delle elezioni vere. Con un pizzico di cinismo si potrebbe ulteriormente ritenere che un candidato designato troppo in anticipo finirebbe con l’essere logorato – malgrado tutti i buoni propositi della partenza – dalla stessa coalizione che lo sostiene, arrivando poi spompato all’appuntamento elettorale.
In realtà, la necessità della costruzione di una piattaforma programmatica di partenza è ben avvertita da tutti gli ambienti partitici, ed il campeggio dei rottamatori in quel di Albinea, organizzato dal consigliere regionale lombardo Civati per il 22 – 23 – 24 luglio, potrebbe costituire lo scenario per il primo incontro – rigorosamente diffuso in streaming – tra i leader dei principali partiti di centrosinistra, Bersani, Vendola e Di Pietro.
L’asso nella manica di coloro che sostengono l’urgenza delle primarie e le vorrebbero calendarizzare già il prossimo autunno è in ogni caso la fragilità del Governo e della maggioranza: il risicato vantaggio numerico del centrodestra alla Camera dei Deputati, i continui casi di vittorie delle opposizioni nelle votazioni minori, il clima teso tra le varie anime del centrodestra e soprattutto una pesantissima manovra finanziaria da oltre 45 miliardi di euro sono tutti elementi che giocano contro la stabilità e la durata dell’esecutivo e mettono il centrosinistra in permanente fibrillazione da elezioni anticipate. La necessità di non lasciarsi trovare impreparati nel caso di caduta del Governo imporrebbe, quindi, il tempestivo ricorso alle primarie. Ma che succede se invece il Governo non cade?
Un aspetto che infatti è decisamente troppo trascurato riguardo a questo tema è quello del ruolo politico del vincitore della competizione. Le primarie italiane si possono pubblicare una derivazione di quelle statunitensi, e come le loro progenitrici d’oltreoceano sono state concepite per una finalità puramente elettorale. Prima dell’avvio della campagna elettorale vera e propria le forze in campo scelgono il proprio candidato. Così è stato per Romano Prodi per le politiche del 2006 e così è stato ad ogni livello fino alle ultime elezioni amministrative; in Italia il Partito Democratico ha esteso le funzioni spettanti alle primarie anche agli strumenti di democrazia interna, in special modo con l’elezione diretta del segretario nazionale.
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[ad]L’utilizzo che qui si vorrebbe fare delle primarie è però del tutto nuovo. Per la prima volta infatti, più che un candidato alle elezioni si andrebbe a scegliere un leader di coalizione. Un ruolo probabilmente senza precedenti nel panorama politico italiano; una sorta di supersegretario i cui poteri vanno oltre il singolo partito di appartenenza. Quale dovrebbe essere il ruolo politico legato ad una singola figura? Quale significato avrebbero a questo punto i partiti, se la loro autonomia è messa in tutto o in parte nelle mani di un tale capo? Staranno alla coalizione come oggi le correnti stanno ai partiti? Quali aspetti del loro potere le dirigenze di partito vorranno o dovranno cedere al leader di coalizione? In che modo verrà scelto lo staff che lo affiancherà, e come si rapporterà tale staff con le attuali segreterie di partito? Di quali e quanti poteri avrà bisogno questo supersegretario per non essere logorato anzitempo dai partiti in suo sostegno e diventare un generale senza truppe al momento del bisogno?
Queste domande svelano la reale profondità che si cela dietro alla questione apparentemente semplice di legare le primarie o meno ad un appuntamento elettorale. In ballo c’è la struttura stessa della politica, che rischierebbe di formalizzare e cristallizzare un livello di aggregazione superiore a quello dei partiti, con regole tutte da scrivere – come si formalizza una coalizione? come si entra in una coalizione esistente? quanto conta un partito in una coalizione? come si esce da una coalizione? – e con necessità di intervento e controllo che si estenderebbero ben al di là della semplice figura del leader.
Scardinando dall’alto i flussi gerarchici dei partiti, e potendo permettere ai candidati dei partiti più piccoli un gioco ad alto guadagno – il controllo almeno parziale dei partiti maggiori, in termini di utilizzo della struttura portante in sostegno alle proprie idee e al proprio programma – è inevitabile che si ridisegneranno anche gli approcci degli aspiranti politici al sistema partitico: se da ogni partito si potrà arrivare al controllo della coalizione, e visto il progressivo esaurirsi del voto militante rispetto a quello di opinione, la corsia preferenziale per l’ingresso in politica tenderà ad essere concentrata sui piccoli partiti, dove la concorrenza è minore. Un primo effetto del fenomeno potrebbe proprio essere il progressivo avvicinamento delle dimensioni e delle strutture dei partiti, ottenuto però più tramite disgregazioni e scissioni delle forze più grandi che attraverso il rafforzamento di quelle minori. Alla fine è tuttavia probabile che questa strada conduca al partito unico, in forma forte – fusione dei partiti esistenti – o debole – progressivo svuotamento dei partiti.
Si tratta veramente di un percorso che il centrosinistra desidera intraprendere? E chi auspica per le primarie un utilizzo differente da quello elettorale per cui sono state fino ad oggi adoperate, ha ben chiare le conseguenze a lungo termine di una simile applicazione?
Ecco cosa c’è dietro alla scelta di dare alle primarie un significato politico oltre che elettorale: il futuro della struttura politica e partitica del Paese.