Non passa l’abolizione delle province

Dietro il caso che ha spaccato l’opposizione la scorsa settimana ci sono delle vere divergenze politiche e programmatiche

province

La seduta 495 della Camera dei Deputati del 5 luglio 2011 verrà ricordata con ogni probabilità come la grande occasione mancata di sopprimere le province italiane, quel livello di aggregazione intermedio tra i Comuni e le Regioni contro cui tutte le forze politiche si scagliano in campagna elettorale come fonte di sprechi ma che poi nessun partito, una volta al potere, dimostra di voler realmente eliminare.

La proposta in discussione era la 1990 della Camera dei Deputati, presentata dall’Italia dei Valori ed intitolata Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione, in materia di soppressione delle province.

Partito Favorevoli Contrari Astenuti Assenti
FLI 21 0 0 7
Misto 5 0 3 14
IR 6 18 2 3
IdV 19 0 0 3
Lega 0 52 0 7
PD 0 0 192 14
PdL 2 154 43 28
UdC 30 1 0 5
Totale 83 225 240 81

Come mostra la tabella, la proposta è stata bocciata con 225 voti contrari e 83 favorevoli, ma si nota come il partito di maggioranza relativa fosse in realtà quello dell’astensione, a quota 240. E all’interno dell’astensione spicca il blocco del Partito Democratico, 192 voti, tutti i presenti del gruppo senza eccezione alcuna.

E proprio il PD, giustamente, ha raccolto le maggiori critiche per la propria condotta: la situazione numerica era tale che con l’apporto del Partito Democratico, e solo con quell’apporto, l’esito del voto avrebbe potuto clamorosamente rovesciarsi, per un risultato dalla portata indubbiamente storica.
Soprattutto sul web, il popolo di centrosinistra si è rivoltato in maniera compatta contro la scelta del partito. Le accuse sono pesanti: far parte della Casta, aver rinnegato le proprie promesse elettorali, non voler diminuire i costi della politica (argomento sensibile in periodo di legge finanziaria), essere ostaggio dei signori delle tessere e dei ras locali.

[ad]Tradimento, soprattutto, è la sensazione che traspare dalla maggioranza dei commenti: dopo la pur fragile sinergia venutasi a creare tra i Democratici ed il cosiddetto popolo del web in occasione delle amministrative e del referendum, il circolo virtuoso pare essersi spezzato. Mancando totalmente di spirito critico, il Partito Democratico non ha saputo prevedere l’inevitabile cassa di risonanza che questa notizia avrebbe avuto, ancora più colpevolmente dopo che gli appuntamenti di maggio e giugno avevano dimostrato le potenzialità del web; anzi, il PD deve ringraziare solo la norma salva-Fininvest nella finanziaria e gli scandali a catena della P4 se i danni per la sua immagine non sono stati ancora maggiori.

Il PD, oltre ad aver sperimentato sulla propria pelle il controllo puntuale di cui è capace un grande strumento come la rete, della dedizione e della passione delle persone che vi si dedicano e in ultima analisi della potenza esponenziale di raccolta e diffusione dei dati che tale strumento consente, sta rendendosi conto in questi ultimi giorni quanto sia difficile invece cercare, per dirla con Bersani, di riportare i buoi nella stalla.

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Il responsabile degli enti locali del PD Zoggia, oltre ad essere intervenuto sul sito ufficiale del partito ha inviato la seguente e-mail agli iscritti alla newsletter:

Ciao XXX,
ieri il PD alla Camera si è astenuto sulla proposta di cancellazione delle Province perché non è cancellando una parola che si risolve il problema dei costi della politica. Esiste una nostra proposta per quanto riguarda il riordino complessivo del sistema delle autonomie locali e delle regioni e in questa si colloca anche quella specifica relativa alle province. Un riordino che non deve e non può avvenire indipendentemente da una nuova e più snella visione dello Stato, per fornire così servizi efficienti e non duplicazioni burocratiche.
Ecco perché non è sufficiente dire che si aboliscono le province. È facile demagogia tracciare un segno sulla parola province, sarebbe una operazione identica a quella fatta da Berlusconi con le grandi opere, con i famosi cartelloni pieni di segni che, da inchiostro, non si sono mai trasformati in infrastrutture.
La nostra proposta è concreta e riorganizza il settore con veri tagli e grandi possibilità di risparmio, essa è già depositata in parlamento ed è visibile sul nostro sito internet all’indirizzo partitodemocratico.it/leggeprovince.
Se si vuole fare serio bisogna quindi dire a chi, una volta abolite, vanno le funzioni delle province, almeno quelle essenziali, come verrà dislocato il personale che oggi vi lavora. Altrimenti, parlare di costi della politica solo per le province diventa un modo per eludere il problema, per non affrontarlo mai sul serio.
E i tempi di questa nostra riforma saranno brevissimi. Il paese va riformato e riavvicinato alle esigenze dei cittadini e in questo ci stiamo impegnando.
Grazie per l’attenzione, aiutaci a diffondere la proposta del PD

[ad]In molti ambienti l’intervento è stato visto, con una reazione comprensibilissima ma dettata in ultima analisi dall’emotività, come semplice fumo negli occhi e immediatamente liquidato, ma è tuttavia degno di nota il fatto che il PD abbia rimandato alla propria proposta di legge in merito, la 4439 della Camera dei Deputati.

Se per il Partito Democratico, come dichiarato dalla sua dirigenza, vi erano motivazioni politiche per non appoggiare la proposta dell’Italia dei Valori, per non mandare il centrodestra in minoranza su una questione così delicata, per non riscuotere il credito di popolarità che sarebbe senza dubbio seguito ad un simile risultato, l’analisi comparativa tra le due proposte può forse fare luce su quali possano essere le questioni su cui l’atto dell’IdV glissa e che invece quello del PD affronta.

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[ad]Leggendo il testo dell’Atto 1990 si nota come sia in effetti una legge molto semplice: i primi otto articoli di fatto eliminano ogni traccia delle province dalla Costituzione, mentre il nono dichiara che il trasferimento delle competenze delle province ai comuni e alle regioni deve essere regolato con un’altra entro un anno dall’entrata in vigore della legge costituzionale di abrogazione. Le critiche che il Partito Democratico rivolge a questa proposta di legge sono quindi corrette: di fatto non fa che tirare una riga sopra la parola province e delega ad un altro provvedimento la ripartizione ed il trasferimento delle competenze verso gli altri enti locali.

Se si esamina l’Atto 4439 si nota però come l’intento della legge sia completamente differente, e la lettura politica che ne deriva non può che essere una sola: il Partito Democratico in realtà non è a favore dell’abolizione delle province, per lo meno non all’abolizione tout-court: a differenza dell’Atto 1990, la parola province non viene espunta dalla Costituzione. Le uniche province per cui si prevede la sopressione sono infatti quelle relative alla Città Metropolitane.

La proposta del Partito Democratico si propone semplicemente di delegare alle regioni l’istituzione, il numero ed i confini delle province, in un’ottica che se da un lato può apparire un semplice scaricabarile, dall’altro risponde alla visione di un’Italia più federale: che sia ciascuna regione a decidere se ed in che modo dividere il proprio territorio, e che siano i cittadini di quelle regioni a pagare per tali suddivisioni.

Il comma 1 dell’articolo 3 rimanda ad una successiva legge dello Stato per identificare le funzionalità delle province; se a prima vista questo passaggio potrebbe essere simile a quello della proposta dell’IdV il fatto che si parli non già di trasferimenti ad altri enti ma di redifinizione delle funzioni di un ente esistente dovrebbe renderne più semplice la scrittura, se non altro considerata la possbilità tutt’altro che remota che le funzioni delle province restino le stesse.
Il vero dubbio su questa proposta, in realtà, è la sua speranza di approvazione: se l’Atto 1990 dell’IdV, presentato il 5 dicembre 2008, è stato votato nel luglio 2011, è chiaro che l’Atto 4439 del PD, presentato il 21 giugno 2011, ha ben poche probabilità di arrivare ad un esito prima della fine della legislatura. Non è quindi chiaro se il PD voglia veramente tentare di far passare la sua proposta o se sia invece solo uno specchietto messo a testimoniare un impegno in realtà senza alcuna possibilità di realizzazione.

La querelle sulle province, dal punto politico, rimarca quindi una volta di più la distanza tra le varie forze del centrosinistra, come già era accaduto con la proposta di legge del PD sulla gestione dell’acqua pubbllica. Di fatto l’Italia dei Valori è per la soppressione dell’istituto delle province, rendendo da quattro a tre i livelli di aggregazione del Paese (comuni, regioni, Stato); il Partito Democratico intende invece spostare la giurisdizione delle province dallo Stato alle regioni, delegando a ciascuna di queste la facoltà di istituire, cancellare e modificare le province interne al proprio territorio.

Ma la soluzione ibrida escogitata dal PD in che modo è inseribile in un programma unitario di centrosinistra, e, soprattutto, è conforme con la volontà dell’elettorato? Bene sarebbe stato per Bersani ed il suo partito indire uno di quei famosi – ormai mitologici – referendum a cui gli iscritti sarebbero stati chiamati sui temi di importanza capitale: quale che ne fosse stato l’esito, il PD avrebbe avuto le spalle coperte al momento del voto e della presentazione della propria controproposta.

Invece, una volta di più, il centrosinistra accusa un pesante danno d’immagine (il PD di appartenenza alla Casta, la coalizione di scarsa coesione), per di più in un momento in cui la situazione politica del Paese richiede senza ulteriori appelli un’opposizione unita per la costruzione di una vera alternativa di governo.