Lo stato della Turchia e la prospettiva euroasiatica
[ad]Ma il miracolo economico della nuova Turchia è stato possibile grazie alle politiche intraprese da Erdoğan che, sulla scia dei suoi predecessori, ha aperto il mercato interno ad investimenti stranieri. I dati parlano chiaro : nel 2011 i flussi dei capitali esteri hanno raggiunto i 15,7 miliardi di dollari (Istituto per il commercio estero). Sono queste le cifre di un paese che tiene il passo delle potenze emergenti BRICS, a cui l’Europa del libero mercato non può più rinunciare.
Eppure, il governo non guarda soltanto all’Ue: pochi giorni fa, infatti, il primo ministro turco ha firmato un sostanziale accordo di pre-adesione all’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, organo intergovernativo che unisce Cina, Russia e i paesi dell’Asia centrale (Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, escluso il Turkmenistan). Si tratta del primo paese afferente alla Nato che vuole entrare a farne parte.
In effetti, come ha ammesso di recente il ministro degli esteri Davutoğlu, la posizione geografica occupata dal paese è tale da condizionare le alleanze e le politiche di collaborazione tra Europa ed Asia. Per questo motivo, la Turchia – sempre secondo il ministro – in futuro rivolgerà il proprio sguardo verso le popolazioni turcofone dell’Asia centrale, seguendo, in un certo qual modo, le orme del passato Impero ottomano. Ankara si candida a diventare il crocevia di culture diverse tra loro e di economie appetibili ai mercati del mondo occidentale.
Fabrizio Neironi