Dossier: la nuova legge sul fine vita
Tra crisi finanziarie e richieste di arresto, sulla questione del testamento biologico si è arrivati ad un verdetto legislativo: ecco tutti i punti controversi della nuova legge
Dopo ben 17 mesi di lavoro tra Commissione e Aula del Senato per votare il ddl Calabrò, e altri 14 mesi di stasi presso la Camera, da poco è iniziata la corsa a calendarizzare la discussione nel secondo ramo del Parlamento per arrivare, il 12 luglio, a vanificare il lavoro fatto negli anni precedenti e vietare di fatto le stesse dichiarazioni anticipate di trattamento (dat). Come sottolineato in Aula da Rosy Bindi, “se prima di questo provvedimento la dichiarazione anticipata di trattamento (dat) nel nostro paese non era regolata, oggi è impedita”. Questo anzitutto perché la dat, un documento che vorrebbe mettere al centro la volontà della persona in materia sanitaria, anche e soprattutto in previsione di eventuali condizioni future d’incapacità e dunque, “ora per allora”, non è un testo vincolante. Ciò significa che il medico, nel caso in cui non condivida il contenuto della dat, o questo appaia “orientato a cagionare la morte o in contrasto con il codice deontologico”, potrà discostarsene: ciò è già sufficiente ad indicare il livello di parossismo cui il legislatore è giunto, promettendo, solo formalmente e a parole, un diritto nell’atto stesso in cui, sostanzialmente e nei fatti, lo nega.
[ad]A ben vedere, ciò si spiega facilmente a fronte delle stesse intenzioni dichiarate da diversi esponenti della maggioranza, primo fra tutti il Presidente del Consiglio Berlusconi, il quale in una lettera di non molto tempo fa chiedeva ai suoi di fare uno sforzo per riempire il vuoto normativo dato che, se l’ordinamento non ammette lacune, il magistrato risponde alla domanda di giustizia (e, sottinteso, come nel caso Englaro, decide a “suo” modo). Così, in preda ad uno spirito piuttosto rancoroso, esponenti della maggioranza hanno attribuito al testo votato lo scorso martedì dalla Camera la funzione di chiusura di quella fase che la Corte di Cassazione aveva aperto sul caso Englaro: i cittadini sono quindi diventati “apertamente” vittime del conflitto di potere tra legislativo e giudiziario dove, però, il primo interviene per decidere al posto dei cittadini ciò che è giusto, mentre il secondo risponde a domanda per non incorrere in denegata giustizia.
Nel merito, il disegno di legge si intitola “Disposizioni di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento” e si compone di 9 articoli. Il primo articolo definisce la vita umana quale “diritto inviolabile e indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza” e, seppur riconosce come prioritaria l’alleanza terapeutica tra medico e paziente, stabilisce il divieto di ogni forma di eutanasia. Il secondo articolo è poi interamente dedicato all’istituto del consenso informato che, per essere pienamente rispettato, deve essere preceduto da informazioni corrette trasferite dal medico al paziente in modo comprensibile e chiaro. Si prevede che il consenso al trattamento possa essere sempre revocato e che, in caso di revoca, questa debba essere indicata nella cartella clinica del paziente. È inoltre specificato che il consenso inteso come accettazione delle cure non è richiesto quando la vita della persona incapace di intendere e di volere è in pericolo in seguito a una grave complicanza. In un tale frangente, il medico deve “astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche e agli obiettivi di cura” e, quindi, dall’accanimento terapeutico, pur non citato direttamente nel testo di legge.
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