“La Lega è Bossi e Bossi è la Lega”. Con questa frase ripetuta per più volte e da più parti (in ultimo, dallo stesso Berlusconi oggi) lo stato maggiore della Lega ha rigettato ogni polemica sulle presunte divisioni interne. Di fatto la precisazione si è resa necessaria dopo la votazione sull’autorizzazione a procedere relativo all’arresto del deputato del Pdl Alfonso Papa. Sulla questione Roberto Maroni ha avuto, sin dal primo momento, le idee chiare: consentire l’arresto. Per lanciare un segnale politico preciso: “la Lega è sempre la Lega”. Il ministro degli Interni ha avvertito da subito come una priorità evitare il rischio di confondersi con un partito che avvantaggia favoritismi o trattamenti dispari. Soprattutto in tema di giustizia. Così, nonostante il pressing di Berlusconi su Bossi e compagni, la Lega ha autorizzato l’arresto, Mentre, come riportato dalle cronache, nello stesso giorno in cui Papa ha fatto il suo ingresso a Poggioreale il Senato non ha autorizzato l’arresto del senatore Alberto Tedesco (ma questa è un’altra storia).
[ad]Umberto Bossi è la Lega? Lo è ancora, ma di certo un po’ meno. Perché in questi anni in cui Bossi ha esercitato sul suo movimento le funzioni che un padre esercita sui propri figli, la Lega è cresciuta. E sono cresciute figure che man mano hanno dimostrato capacità e competenza. Maroni è tra queste: da ministro dell’Interno ha sempre dimostrato equilibrio politico, dote che nel tempo lo ha reso interlocutore privilegiato nel dialogo tra maggioranza e forze di opposizione. Sempre in veste di ministro dell’Interno ha puntato molto sulla lotta alle mafie e sull’attenzione alla legalità. Da politico accorto ha voluto evitare, per tornare alla votazione su Papa, ogni possibile equivoco. Le cronache parlamentari dei giorni scorsi raccontano di una sua notevole presa sui leghisti presenti in Parlamento. Alcuni lo vorrebbero in polemica velata con Bossi. Nessuno può dire quanto questo risponde a verità; di sicuro però Maroni ha oggi nella Lega un suo peso specifico che gli consente di volta in volta di esprimere la propria idea arrivando ad influenzare e determinare l’esito delle singole decisioni. Venerdì prossimo, per esempio, è stato convocato il consiglio federale della Lega presso la sede di via Bellerio. Presumibilmente in quell’occasione Bossi discuterà con Maroni e gli altri la linea politica con cui la Lega dovrà proseguire il cammino in una fase non semplice per la maggioranza e per il Governo. A Berlusconi molto probabilmente fischieranno le orecchie.
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[ad]Da Maroni ad Alfano. Dopo essere stato acclamato segretario del Popolo della Libertà ha atteso (con ritardo sulla tabella di marcia preventivata) di essere sostituito nel ruolo di “guardasigilli”. La nomina del suo successore, Nitto Palma, pare abbia ancora di più raffreddato i rapporti tra Berlusconi e Napolitano. Alfano non vedeva l’ora di liberarsi dell’incombenza ministeriale per iniziare a mettere mano all’organizzazione del partito. Tra i suoi obiettivi c’è l’esigenza di costruire un partito che sopravviva al suo leader. Nel suo manifesto politico, illustrato proprio nel giorno della proclamazione, ha coniato la definizione del “partito degli onesti”. Di lì a poco sarebbero scoppiati i casi dei deputati Papa e Milanese: congiuntura, chiamiamola così, a dir poco sfortunata. E infatti Alfano in queste settimane è apparso poco. Il compito che gli è stato affidato è ancora più complicato se si considerano i tempi molto stretti: mancano, alla scadenza naturale della legislatura corrente (e del Governo), meno di due anni. Termine entro il quale Alfano dovrebbe: preparare il terreno alla costruzione di una grande forza moderata, riappacificare i partiti italiani (e i leader) che si richiamano al Partito Popolare Europeo e facilitare l’uscita di scena del principale protagonista della vita politica del Paese degli ultimi quindici anni. Considerando la grave crisi dei mercati, i continui scandali con conseguenti spinte contro la casta, se riesce in tutto ciò avrà compiuto una impresa quasi impossibile.