Renzi e Civati, sempre più lontani
Renzi e Civati, sempre più lontani. Sembrano passati secoli da quel novembre 2010, quando i due giovani enfants prodiges del Pd si incontrarono per la prima volta a Firenze, in occasione della prima Lepolda, per parlare insieme di rottamazione e rinnovamento del partito, due vocaboli che da là a poco avrebbero popolato gli incubi di tanti dirigenti democratici. L’uno, Renzi, a incarnare in sé l’emblema stesso del rottamatore, giovane e brillante amministratore locale, senza peli sulla lingua, lontano dal politichese, dal “Palazzo”, dagli accordicchi di dalemiana memoria.
[ad]L’altro, Civati, più in ombra, candidato a sicuro numero due della nuova corrente, più riflessivo, meno mediatico e mediatizzato del sindaco di Firenze, a tessere le fila del renzismo con il Nord del Paese. Il giovane duo tuttavia non superò l’inverno: Civati abbandonò la pletora dei rottamatori, ufficialmente per divergenze politiche (ma i più maligni parlarono di invidie e gelosia, forse non a torto), fino ad appoggiare, pur non senza critiche e distinguo, la candidatura di Bersani contro Renzi alle primarie del centrosinistra nel novembre 2012.
Da allora, anche se sono passati solo pochi mesi, la politica italiana ha vissuto sconvolgimenti e ribaltamenti di fronte: lo tsunami elettorale del 24 e 25 febbraio, gli otto punti di Bersani per cercare un improbabile e impossibile accordo con Grillo, i “parricidii” di Marini e Prodi nel corso delle elezioni presidenziali, la nascita del governo di larghe intese (o inciuciaro, dipende dai punti di vista) Letta-Alfano; nel mezzo, un Pd in crisi di identità, dilaniato da lotte interne e dalle mille anime politiche che ne agitano le acque. Oggi, di questo partito che tenta faticosamente di rimettere insieme pezzi e prospettive, Renzi e Civati rappresentano due degli uomini chiave, soprattutto in prospettiva futura, ma anche due strade in profonda alternatività; i due ex amici sono ormai politicamente lontanissimi, e più che di strade parallele verso lo stesso obiettivo è forse più opportuno parlare di strategie divaricanti.
Renzi, ultimo figlio della componente cattolica del centrosinistra, campione di una probabile futura “Dc 2.0”, in equilibrio tra La Pira e Steve Jobs, in grande crescita nel Pd, non anti ma semmai post-berlusconiano (“non voglio mandare Berlusconi in prigione – ama ripetere – mi basta mandarlo in pensione”), aspetta alla finestra. Ha astutamente fiutato il pericolo di finire nel tritacarne politico dell’accordo Pd-Pdl, si mantiene alternativo alle gerarchie Pd, sempre rottamatore, ma con meno veemenza del passato; per uno che guarda più ai voti di centristi (ma anche dei berlusconiani delusi) che a sinistra, l’abbraccio governativo con il Pdl non era certo il sogno, ma nemmeno la peggiore prospettiva all’orizzonte, soprattutto se a metterci la faccia e il nome è un altro.
Più che il prossimo segretario del Pd, ambisce a essere il prossimo candidato premier del centrosinistra, ma per un’operazione politica di questo tipo ha bisogno di tempo, ed è per questo che probabilmente non metterà i bastoni tra le ruote al governo Letta. Civati, meno conosciuto, viene dalla trafila della carriera di partito, sponda Ds, attraverso cui si è conquistato un discreto consenso sul difficile territorio lùmbard. Con Renzi ormai condivide solo l’attenzione rivolta alle potenzialità del Web, e poco altro. In questi ultimi mesi, soprattutto dopo il pre-pensionamento di Bersani e del suo mai nato “governo di cambiamento”, Civati si è infatti abilmente ritagliato il ruolo di rappresentante dei “malpancisti Pd”, di tutti i democratici a cui il governo di salvezza nazionale con il Pdl proprio non va giù.
Il Partito democratico che, dopo le picconate renziane, di rottamatori e voci critiche ne ha abbastanza, gli ha fatto terra bruciata intorno: di Civati non parla nessuno, mentre le altre voci di dissenso a lui vicine (come la Puppato o la Serracchiani) sono già rientrate alla base. Pippo è così rimasto da solo: unico dei big del partito a non votare la fiducia al nuovo governo, chiede quotidianamente, come un mantra, “i nomi dei 101 traditori di Prodi”, strizza l’occhio ai ragazzi di OccupyPd ed invoca il governo di cambiamento promosso al paese. Da sempre fautore di un dialogo con il Movimento 5 stelle, per il futuro suo e del Pd Civati guarda a sinistra, a quella galassia di istanze e posizioni cristallizzatasi intorno ai nomi di Vendola, Barca e Rodotà.
Il progetto di spostare a sinistra l’asse di un partito che oggi, più che mai, è guidato da un’anima centrista e incline al dialogo ed all’intesa con Berlusconi, è difficilmente realizzabile: trovandosi la vecchia guardia ex Ds ed i renziani contro, difficilmente a ottobre Civati diventerà il nuovo segretario del Pd. Quel che è certo è che sia Renzi che Civati sono pronti alla conquista del Pd: una sfida affascinante tra ex amici, Pippo contro Matteo, tra ambizioni personali confliggenti, ma anche tra progetti politici alternativi.
Maurizio Belli