2011: Odissea nella manovra

Pubblicato il 5 Settembre 2011 alle 10:00 Autore: Redazione

Ripercorriamo le (tragicomiche) fasi della manovra economica nelle sue mille versioni, che hanno monopolizzato – giustamente – il dibattito politico fin dal mese di luglio e il cui esito avrà un effetto decisivo sulle sorti del nostro Paese

manovra

La politica messa in castigo dall’economia. È forse questa l’immagine che riassume questa interminabile estate da psicanalisi. A fine luglio, l’Italia del bunga bunga e della disoccupazione giovanile al 30%, viene sbranata senza pietà dai mercati finanziari. Di conseguenza, gli Italiani trovano sotto l’ombrellone i compiti per le vacanze: una letterina da Bruxelles, preludio di una manovra economica che farà rimpiangere la famosa “lacrime e sangue” di Giuliano Amato. La Banca Centrale Europea, infatti, si vede costretta a defibrillare un governo in stato confusionale e a dettare l’agenda delle riforme necessarie per tranquillizzare gli investitori. Ma, dopo quasi un mese, lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi è di nuovo ampiamente sopra i 300 punti, e in Borsa è tornata la paura. È evidente come i suggerimenti europei (che per alcuni aspetti ricordano molto da vicino quelli del Washington Consensus rivolto dal Fondo Monetario Internazionale ai Paesi in crisi negli anni ’80) non siano stati tradotti in azioni concrete e credibili.

[ad]La manovra correttiva viene varata in tutta fretta con un decreto legge fissando l’obiettivo del pareggio di bilancio anticipato al 2013, da raggiungere con una correzione dei conti pubblici da 20 miliardi nel 2012 e 25,5 miliardi nel 2013. Uno sforzo notevole, ma che in un’ottica più ampia poteva rappresentare una grande opportunità di rinnovamento attraverso un vasto programma di riforme strutturali. Al contrario, si è rivelata l’ennesima occasione persa, piegata ai troppi compromessi politici che hanno indebolito la portata dei provvedimenti. La manovra, infatti, soffre di tre gravi lacune. In primo luogo, è stato quasi completamente ignorato uno dei capitoli più rilevanti della lettera Trichet-Draghi, ovvero gli interventi di liberalizzazione degli ordini e delle professioni. Il decreto, in merito, è confuso e persino contraddittorio, in quanto all’art.3 si legge: “Fermo restando l’esame di Stato di cui all’art. 33 comma 5 della Costituzione per l’accesso alle professioni regolamentate…”, ma successivamente: “l’accesso alla professione è libero e il suo esercizio è fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista”. In secondo luogo, per l’opposizione della Lega Nord, non è stata presa in considerazione una definitiva riforma strutturale delle pensioni, un problema che l’Europa da anni ci chiede di affrontare, ma che nessun governo si assume la responsabilità di esaminare con serietà per timore di ricadute elettorali. La terza lacuna, ed è forse la più grave, è la pressoché totale assenza di misure per stimolare la crescita e lo sviluppo che possano controbilanciare gli inevitabili effetti depressivi della maggiore tassazione. Per rincorrere la chimera del pareggio di bilancio, la manovra rischia di diventare una pietra tombale sulla ripresa dei consumi. Infatti, ci si affida agli abituali tagli agli enti locali ed a nuove tasse. Come il “contributo di solidarietà”, che colpisce i redditi medio-alti (ma non le grandi ricchezze sotto forma di patrimonio, né quelle dell’evasione fiscale e del sommerso), e la rimodulazione al 20% della tassa sulle rendite finanziarie, contro la quale erano state erette per anni barricate puramente demagogiche. E i tagli ai costi della politica? Uno specchietto per le allodole. Si interviene a livello locale ma non nazionale. Si stabilisce, infatti, l’accorpamento dei comuni sotto i mille abitanti e l’eliminazione delle province sotto i trecentomila abitanti, ma sono salvi, ad esempio, i ricchi vitalizi degli ex parlamentari.

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