Così perdiamo tutti

Così perdiamo tutti

Si dice che la vittoria ha sempre dei padri, mentre la sconfitta tende a trovarsi molto spesso nella non piacevole situazione di essere orfana.

Possiamo ben dire che questo secondo caso riguarda direttamente la manovra del governo, tesa nella teoria ad arginare l’attacco speculativo di questi giorni e ad allontanare il più possibile il rischio default per il nostro paese. Problemi di carattere economico, legati perlopiù alla situazione critica dei debiti sovrani europei e al rischio recessione che si affaccia dall’altra parte dell’oceano Atlantico.

[ad]Ma in questi giorni, indipendentemente dagli aspetti economici, stiamo assistendo a delle criticità politiche che ben ci testimoniano come ad una cattiva fede degli speculatori si aggiunge un calcolo ragionato, sempre da parte loro, teso a colpire un paese dotato di un governo eterogeneo, indeciso e a quanto pare incapace di saper gestire con prontezza e lungimiranza questa delicata situazione.

Questa manovra ne è un esempio. È stata cambiata varie volte e molte singole parti più che iniettare fiducia hanno reso ancor più precaria ed incerta la situazione agli occhi degli investitori stranieri. All’interno del centrodestra si sono levate voci critiche, richieste di emendamenti e crociate ideologiche, o pseudo-tali, in difesa di alcuni tabù. Una situazione che infatti aveva portato Berlusconi a non riconoscere una manovra capace solo di mettere le mani “nelle tasche degli italiani”. Una situazione che addirittura portava il suo cuore “a grondare sangue”.

Il fuoco di fila ha portato dunque ad una revisione della manovra dopo l’atteso vertice del lunedì di Arcore con lo stato maggiore leghista. Le priorità degli schieramenti del resto erano chiare e in molti nel centrodestra aspiravano ad una modifica della manovra, pur restando a saldi invariati, capace di essere più appetibile per un elettorato quanto mai frustrato e deluso. E quindi se la Lega poneva come proprio stendardo la difesa delle pensioni sempre all’interno del Carroccio Bobo Maroni assumeva il ruolo di tutore degli enti locali portando avanti una battaglia per un dimezzamento, almeno per quanto riguarda i comuni, degli tagli alle amministrazioni territoriali (lo stesso giorno del vertice di Arcore a Milano sfilavano i sindaci dei comuni italiani, ricevuti in Prefettura proprio dal titolare del Viminale). Dall’altra parte c’era Berlusconi che aveva come primario obbiettivo il rimaneggiamento del contributo di solidarietà. Quel 5% chiesto ai redditi oltre i 90.000 euro e quel 10% abbinati ai redditi oltre i 150.00 euro appariva contrario allo slogan “Meno tasse per tutti”. D’altro canto Tremonti mirava in primis, dopo essere stato in silenzio per tutta la seconda metà d’agosto nel suo ritiro bellunese, a non cambiare troppo la manovra. Sia dal punto di vista quantitativo, ovvero i saldi, sia dal punto di vista qualitativo.

Alla luce di questi schieramenti in campo il neo-segretario del PdL Angelino Alfano pensava di aver trovato un buon compromesso con l’alleato leghista. Compromesso suggellato da battute, risate e inviti a volersi bene presso l’autorevole palco del “BèrghemFest” di Alzano Lombardo. Il piano prevedeva l’innalzamento del tetto per pagare il contributo di solidarietà (una percentuale, presumibilmente del 5%, solo per i redditi oltre i 200.000 euro) e il dimezzamento del taglio agli enti locali. Soldi persi dunque. Ma come recuperarli? Prendendoli da un innalzamento dell’Iva. L’innalzamento di questa imposta aveva due grandi nemici: Tremonti, che la considerava e continua a considerarla recessiva o comunque percorribile solo una volta aperto il capitolo della riforma fiscale, e i commercianti che ovviamente temevano un calo dei consumi.

[ad]A sfatare il tabù dell’innalzamento dell’Iva avevano però contribuito gli arci-nemici di Tremonti, quei frondisti capitanati da Crosetto e col placet dell’ex ministro Martino che, non a torto, avevano fatto notare che essendoci tre differenti aliquote di Iva in Italia (al 4, al 10 e al 20%) per fare “cassa” si poteva ipotizzare l’innalzamento di un punto solo di una singola aliquota (in questo caso quella del 20%). Non il massimo per “l’anti-tasse” Berlusconi. Ma sempre meglio del contributo di solidarietà, il vero incubo del Cavaliere.

Ma, come nei thriller più affascinanti, dal vertice di Arcore giunge una sorpresona: i tagli agli enti locali sono dimezzati, come previsto. Le pensioni non vengono toccate (se escludiamo il caso poi emerso legato ai contributi universitari e alla naja). Ma, e qui sta la sorpresa, il contributo di solidarietà è del tutto abolito! Così come non c’è traccia di un innalzamento dell’Iva.

Insomma, contenti tutti. Berlusconi che riesce ad ottenere la scomparsa dell’odioso contributo di solidarietà, Tremonti che vede l’Iva rimanere intatta e la Lega che può esultare per il mantenimento dello status quo sul fronte pensionistico e per una riduzione del taglio agli enti locali.

Ma, ci sono due “ma”. In primo luogo il governo incomincia a tentennare: ci si accorge del problema legato alla naja e ai contributi universitari. Una mezza rivolta porta ad un dietrofront dopo un breve summit tra Calderoli e Sacconi (che presumibilmente aveva proposto questa norma per cercare di rimediare qualche spiccio da una fascia esigua di popolazione perlopiù nel Mezzogiorno d’Italia). Ma anche altre norme sono stracciate o modificate. Nel male o nel bene (basti pensare al tema delle festività laiche).

Un atteggiamento che soprattutto per quanto riguarda il pubblico impiego e il contratto di lavoro nazionale “rischia” agli occhi del centrodestra di compattare i sindacati confederali. La Cgil dopo la proclamazione unilaterale dello sciopero generale non si è trovata “troppo isolata” dopo la discussa norma su università e naja. Considerando infatti che in ogni caso il contributo di solidarietà non scatterà solo per i lavoratori del settore privato, la stessa Uil aveva minacciato uno sciopero del pubblico impiego se almeno non veniva ritirata la discussa norma sul trattamento previdenziale di chi ha avuto l’occasione di studiare all’università o di fare il servizio militare. Per un governo che dal “Patto per l’Italia” del 2002 mira scientificamente alla divisione del fronte sindacale non sarebbe stato il massimo.

 

[ad]Ma il secondo “ma” è quello più inquietante e che ben testimonia la criticità della situazione non solo dal punto di vista politico, ma anche economico.
E’ evidente, lo capisce pure un bambino delle elementari, che vi è un disequilibrio tra entrate e uscite. Per farla breve è evidente che i saldi non sono gli stessi. Non ci sono i soldi. Presumibilmente parliamo di una cifra che supera i sei miliardi di euro.

Questa situazione porta ad una contraddizione non da poco: per quanto possa apparire paradossale questa ultima versione della manovra ha più chance di passare in Parlamento, rischia più consensi e del resto i toni da crociata sono svaniti almeno per quanto riguarda lo schieramento del centrodestra (diamo per assodata la contrarietà dell’opposizione che in questo tira e molla non è stata nemmeno consultata per mancanza di tempo…o almeno così dicono…) ma rischia una sonora e netta bocciatura da parte delle istituzioni europee.

E non stiamo parlando della dicotomia “Parlamento degli eletti (ma in realtà dei nominati) vs burocrati di Bruxelles”. Stiamo parlando della Bce e della Commissione che segnalano come sia evidente la mancanza di entrate. Tremonti ha subito precisato che la nuova versione della manovra prevede un potenziamento e un investimento politico sul tema della lotta all’evasione. Bruxelles ha prontamente risposto che ciò è cosa buona e giusta. Ma non è qualcosa che può assicurare un introito certo. E qui purtroppo servono certezze. Non dimenticando mai che se lo spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi scendono o salgono è per gli acquisti nel mercato secondario dei titoli di stato italiani da parte della Bce. Insomma, la lotta all’evasione non è paragonabile ad un innalzamento di un punto percentuale dell’Iva. Perché non ti potrà mai garantire quanti soldi incasserà lo stato.

Resta poi un’ultima questione: quanto potrà mai essere credibile un governo, che si chiama pur sempre “Berlusconi IV”, nella lotta all’evasione fiscale? Già politicamente appare poco credibile. Se poi intende, tra l’altro con strumenti nuovi non ancora tastati di “decentramento” del controllo fiscale ai comuni, addirittura con questa strategia risolvere i problemi di una fase economica drammatica, siamo veramente davanti ad un serio rischio di perdere. E di trovarci davanti ad una sicura sconfitta. Una sconfitta non solo di un governo e di una leadership. Ma di un intero paese.