Che Silvio Berlusconi sia il vero king maker del governo Letta, colui che ne ha realmente in mano le redini, è un dato di fatto difficilmente smentibile; che a decretare la fine del suddetto governo sarà una decisione dello stesso Cavaliere, e non certo un Pd che ha tutto l’interesse ad allontanare più in là possibile lo spettro di probabili elezioni-Caporetto, anche questo è abbastanza sicuro. Il vero quesito riguarda il quando, più che il se: ovvero, con che tempistiche e, soprattutto, per quale delle molte ragioni che ha dalla sua, Berlusconi deciderà di “staccare la spina” al giovane Letta? Il governo “di servizio al Paese”, come è stato forse un po’ troppo pomposamente definito, naviga infatti a vista, tra ricatti e minacce più o meno palesi da parte del Pdl, e prudenze e imbarazzi, sicuramente più evidenti, in casa Pd. Sulla sua rotta si stagliano ostacoli taglienti e gorghi insidiosi, tutti potenzialmente in grado di far naufragare il fragile e debole compromesso su cui si regge. Ma quali sono i “passaggi” politici-giudiziari più rischiosi, su cui il governo rischia seriamente di cadere?
[ad]Al primo posto, abbastanza prevedibilmente, c’è il nodo giustizia, e più precisamente gli esiti dei processi in cui è imputato Berlusconi. Al momento sono tre, il processo Ruby (prostituzione minorile e concussione), Mediaset (frode fiscale), Unipol (divulgazione illegale delle intercettazioni Consorte-Fassino), a cui potrebbe aggiungersi anche quello per la compravendita di senatori tra 2006 e 2009 (in cui è indagato a Napoli per corruzione). Processi che sono in cima alle preoccupazioni del Cavaliere, e rappresentano il vero “nervo scoperto” del neonato governo; infatti, se da un lato gli esponenti Pdl promettono a Letta di non legarne la sopravvivenza a possibili sentenze “sgradite”, dall’altro le manifestazioni del centrodestra tenutesi a Milano e a Brescia in difesa di Berlusconi, e ancor di più il precedente del governo Monti, caduto per sua mano dopo tante promesse di lealtà, non promettono nulla di buono. Senza contare che molti tra i falchi Pdl, ultimo in ordine di tempo l’avvocato-deputato Longo, sostengono che l’interdizione di B. dai pubblici uffici (pena accessoria che scatterebbe in caso di condanna) porterebbe subito alla caduta del governo. L’interdizione è in effetti l’incubo di Berlusconi, a seguito della quale sarebbe obbligato ad abbandonare definitivamente il campo della politica in cui è sceso vent’anni fa, un’uscita di scena sicuramente ingloriosa, che infatti il leader Pdl tenta di esorcizzare in tutti i modi; magari con l’elezione a senatore a vita, decisione che tuttavia resta nelle mani di Napolitano, e che si prefigura comunque come poco probabile.
Un’ulteriore pietra di inciampo per la fragile maggioranza di governo è rappresentata dall’opposizione Sel-Movimento Cinque Stelle. Sono molte le proposte di legge che potrebbero partire dai banchi dell’opposizione e che farebbero emergere tutte le contraddizioni di cui è ricca l’anomala maggioranza di governo. Esemplificativo il caso della nota ineleggibilità di Berlusconi a causa del possesso di reti televisive (la legge 361 del 1957 prevede non sia eleggibile chi “in proprio è vincolato con lo Stato per concessioni di notevole entità economica”), negli ultimi vent’anni lasciata sottotraccia, ma per la quale i parlamentari grillini hanno già annunciato svariate volte di votare a favore quando passerà all’esame della Giunta per le elezioni. A quel punto cosa farà il Pd? Se voterà a favore, come ha annunciato il capogruppo al Senato Zanda, le sorti del governo potrebbero essere segnate (ieri Matteoli lo ha minacciosamente ricordato). Se voterà contro, diverrebbe palese la continuità, l’inciucio per dirla con una parola di moda, tra Pdl e Pd, con conseguente ulteriore salasso di voti dell’elettorato democratico, già messo a dura prova dalla coabitazione forzata con Alfano e company. Ma le proposte di legge “divisive” potrebbero riguardare anche il conflitto di interessi (uno dei vecchi otto punti di Bersani), l’inasprimento delle norme sulla corruzione, la reintroduzione del falso in bilancio cancellato dal governo Berlusconi, leggi più avanzate sui diritti civili. Tutte tematiche “calde” e sgradite al Pdl, che infatti Letta ha prudentemente e astutamente evitato anche solo di citare nel discorso di presentazione alle Camere, che i dirigenti Pd scansano nelle dichiarazioni ufficiali, ma che saranno d’attualità quando le Commissioni lavoreranno a pieno regime.
(Per continuare la lettura cliccate su “2”)
Al terzo posto, c’è la questione governativa in senso stretto, esemplificata dal caso IMU. Anche in questo caso le insidie ci sono, seppur meno evidenti. Il Pdl ha posto come “tassa da pagare” per il via al governissimo l’adozione tra i punti programmatici di Letta di alcune delle sue promesse elettorali. L’abolizione della tassa sulla prima casa ha rappresentato uno dei cavalli di battaglia dell’ultima campagna elettorale di Berlusconi (insieme alla sparata del rimborso di quella già pagata) con cui ha rosicchiato gli ultimi punti di consenso al Pd; non è un caso se il centrodestra brandisce la questione come una spada di Damocle con cui minaccia Letta quasi quotidianamente: “Entro agosto bisogna fare la riforma complessiva della tassazione degli immobili, compresi i capannoni, altrimenti cadrà il governo” ha dichiarato Renato Brunetta, capogruppo del Pdl, a Porta a Porta. Poco importa se non c’è copertura finanziaria, o se le priorità dovrebbero essere altre: dopo essere stato costretto a sorbirsi l’agenda Monti per un anno e mezzo, oggi il Pd è obbligato ad assumere larga parte dell’agenda Berlusconi come programma politico.
[ad]Concludendo, siamo di fronte governo a clessidra rovesciata, dove un Pd iperprudente e spaventato deve riuscire quasi quotidianamente a non pestare i piedi al Cavaliere con dichiarazioni e proposte sgradite. Tentativi che appaiono inutili (e anche un po’ patetici), in quanto il “can che dorme”, Silvio Berlusconi, sta in realtà solo aspettando il momento giusto per togliere la fiducia al governo, forte dei sondaggi che lo danno primo partito e delle debolezze e divisioni del campo avverso. Insomma, questioni di tempistiche, non di probabilità. Questo sembrano averlo capito tutti, anche Letta.
Maurizio Belli