Il punto sulla disputa diplomatica tra Cina, Giappone e Taiwan per il possesso dell’arcipelago
Proteste violente in 85 città cinesi e alcune statunitensi: questo l’effetto dell’acquisto di tre isole da parte del Giappone nel settembre del 2012 da un venditore privato. Non si tratta di isole qualunque, bensì di parte dell’arcipelago che i nipponici chiamano “Senkaku”, i cinesi “Diaoyudao” (钓鱼岛) e noi, traducendo dal cinese, “Isole Pescatrici”. Le isole si trovano 170 km a nordest di Taiwan (台湾) e nord-nordovest di Ishigaki, 330 km a sudest di Wenzhou (温州) e 410 km a ovest-sudovest dell’arcipelago di Ryukyu. Il mare circostante è molto pescoso e dati ìndicano la presenza di giacimenti petroliferi. In tutto le isole Pescatrici sono otto, cinque disabitate e tre composte da sole rocce. La minore misura 800 metri quadrati, la maggiore 4,32 chilometri quadrati.
[ad]Le tensioni coinvolgono anche Taiwan, che ad aprile 2012 rifiutò l’invito da parte della Repubblica Popolare a collaborare per risolvere la questione di appartenenza dell’arcipelago: l’allora ministro del Consiglio per gli Affari Continentali, Lai Xingyuan (赖幸媛, f.), disse di non intendere collaborare con la Repubblica Popolare Cinese e affermò la proprietà delle isole per la Repubblica Cinese di Taiwan.
Cina e Taiwan rivendicano il possesso delle isole per ragioni simili, sul modello delle seguenti: scoperta geografica con registrazione negli atlanti, uso storico delle isole come barriera antipiratesca, mappe giapponesi in cui le isole erano segnate come estranee al Giappone, la dichiarazione di Potsdam “la sovranità giapponese è limitata alle isole di Honshū, Hokkaidō, Kyūshū, Shikoku e le altre stabilite da noi (vincitori della guerra; Ndr)”.
Il Giappone basa le proprie rivendicazioni su motivazioni del tipo: nel Trattato di Shimonoseki del 1895 le isole Pescatrici non sono state cedute dalla Cina al Giappone poiché non facevano parte della prima, il Giappone le ha di fatto amministrate fin dal 1971 (anno della cessione da parte degli Stati Uniti d’America, che avevano iniziato a controllarle nel 1945), la Cina e Taiwan hanno cominciato a rivendicarle solo nel 1969, quando fu reso noto che le isole Pescatrici avrebbero potuto contenere giacimenti petroliferi. A supporto di quest’ultima tesi vanno le dichiarazioni di Zhou Enlai (周恩来), ex Primo Ministro dell’RPC, in occasione del Japan-China Summit Meeting del 1972, in risposta alla domanda della sua controparte nipponica, Kakuei Tanaka (il quale chiese: “Qual è la Vostra posizione sulle isole Senkaku?”): “L’unico motivo per cui costituiscono un problema è che c’è del petrolio laggiù. Altrimenti, né Taiwan né gli USA solleverebbero la questione”.
Gli Stati Uniti d’America, pur asserendo di non avere una posizione ufficiale, tuttavia hanno più volte dichiarato nel terzo millennio di essere pronti a scendere in campo a difesa del Sol Levante nel caso in cui l’arcipelago sia attaccato da altri Stati, in base al Trattato di Mutue Cooperazione e Sicurezza firmato con il Giappone nel 1960. Questa posizione è stata ufficializzata da un emendamento all’Atto di Autorizzazione Fiscale 2013 votato dal Senato statunitense il 29 novembre scorso. Questo mese è stato pubblicato il rapporto “Sviluppi Militari e di Sicurezza Coinvolgenti la Repubblica Popolare Cinese”, in cui la posizione di Pechino sulla questione è criticata, le sue richieste essendo definite “incompatibili con la legislazione internazionale”.
Prima di esaminare, dal punto di vista cinese, gli accadimenti dell’ultimo mese, serve ripercorrere le date più importanti nella storia della controversia:
14 gennaio 1895: il Giappone ingloba l’arcipelago nella prefettura di Okinawa affermando di aver condotto indagini dal 1884 e che si trattava di terra nullius;
1945-1971: gli USA amministrano l’arcipelago;
1971: gli USA cedono l’amministrazione dell’arcipelago al Giappone;
7 dicembre 2010: un peschereccio cinese entra in rotta di collisione con due pattuglie della guardia costiera nipponica nelle acque delle isole Pescatrici. I giapponesi arrestano l’equipaggio e detengono il comandante fino al 24 dicembre con l’accusa di speronamento, causando una crisi diplomatica con la Cina, che ferma l’esportazione di terre rare verso il Sol Levante e fa rientrare i turisti.
Settembre 2012: il Giappone acquista alcune isole da un privato, sollevando violente proteste in Cina. L’operazione è definita “una farsa” da Xi Jinping (习近平), presidente della Repubblica Popolare Cinese.
29 novembre 2012: il Senato statunitense vota l’intervento a fianco del Giappone in caso di attacco militare.
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[ad]Questo lo sfondo su cui negli ultimi mesi si sono sviluppate le tensioni, con diversi episodi minacciosi o provocatorî da parte cinese verso il Giappone, camuffati da esercitazioni militari. Nessuna delle parti in causa sembra disposta a fare concessioni. In un lancio dell’agenzia stampa Xinhua (新华) del 23 aprile scorso si legge: “Le isole Pescatrici e le loro isolette affiliate sono parte della Cina fin dall’antichità, ma si sono verificate tensioni tra Cina e Giappone intorno al possesso delle isole a causa della cosiddetta ‘nazionalizzazione’ delle stesse da parte nipponica lo scorso anno”. Di séguito il punto della situazione riassumendo i fatti delle ultime quattro settimane illustrati dai media cinesi:
20 aprile: la Marina cinese pattuglia le acque intorno alle isole e avverte le navi giapponesi nell’area che le Diaoyu sono isole cinesi; l’RPC implementa un sistema di sorveglianza insulare nazionale basato su controlli via aria, acqua e da satellite: per l’occasione vengono pubblicate le denominazioni “standard” per le isole dell’arcipelago delle Pescatrici.
23 aprile: una pattuglia cinese di tre navi trova “molti pescherecci nipponici” nelle acque insulari, dice l’Amministrazione Oceanica Statale: altre cinque navi cinesi accorrono come rinforzo e tutte insieme, divise in quattro coppie, monitorano l’attività giapponese. L’ambasciatore cinese in Giappone, Cheng Yonghua (程永华), incontrando il viceministro degli Esteri nipponico, Chikao Kawai, protesta per l’ingresso delle imbarcazioni giapponesi nelle acque delle isole Pescatrici, chiedendo che se ne vadano sùbito. L’attività cinese nell’area, sostiene Cheng, è invece regolare perché l’arcipelago appartiene alla Repubblica Popolare. La flotta cinese forza l’uscita delle barche giapponesi dalla zona. Il ministero degli Interni dell’RPC presenta una protesta al Giappone contro la navigazione illegale nelle acque circostanti le isole Diaoyu: il portavoce Hua Chunying (华春英, f.) parla di una minaccia proveniente da “attivisti di destra giapponesi”;
Da un sondaggio condotto e pubblicato dall’Agenzia di Promozione di Commercio e Investimenti del Sud Corea (KOTRA) emerge che i consumatori cinesi preferiscono acquistare i prodotti sudcoreani rispetto a quelli nipponici a causa dell’astio generato dalla controversia territoriale. Più della metà dei consumatori cinesi dice di non voler comprare i prodotti nipponici nemmeno a séguito della svalutazione dello yen, la valuta giapponese.
24 aprile: il ministero degli Esteri cinese conferma la ritirata dei pescherecci nipponici.
5 maggio: tre navi cinesi pattugliano le acque circostanti le isole Pescatrici.
10 maggio: studiosi cinesi respingono la valutazione di incompatibilità con le leggi internazionali delle richieste dell’RPC sulle Diaoyu da parte degli USA.
13 maggio: la Cina effettua ulteriori pattugliamenti nelle acque delle Diaoyu.
17 maggio: l’ambasciatore cinese a Washington, Cui Tiankai (崔天凯), invita gli Stati Uniti d’America a essere “neutrali per davvero” nella disputa sulle Diaoyu, onorando la promessa di “non prendere posizione”. Cui ribadisce in un’intervista pubblicata online da Foreign Affairs che la colpa è dei giapponesi, rei di aver nazionalizzato le isole nel settembre del 2012. “Quando – dice Cui – Cina e Giappone avevano normalizzato i propri rapporti, i capi di entrambi gli Stati avevano deciso di mettere da parte queste discussioni (…) Per molti anni siamo stati in tranquillità, finché il governo nipponico non ha deciso di nazionalizzare le isole l’anno scorso. È stata l’azione legale intrapresa dai giapponesi a provocare tutto”. Tokyo “non vuole collaborare” ai negoziati, rifiutandosi di iniziare “trattative serie”. Cui accusa indirettamente gli USA di doppiogiochismo: “Quando parlano con noi ci assicurano la neutralità, ma nelle dichiarazioni ufficiali o negli scambi con il Giappone dicono cose diverse”. Altra colpa degli USA quella di “non intervenire contro l’amministrazione esercitata dai giapponesi sulle isole”. Per raffreddare l’atmosfera, Cui aggiunge la frase di circostanza “penso che ci sia mutua comprensione fra i governi cinese e statunitense sulla necessità di costituire una relazione stabile a beneficio di entrambe le parti”.
Stefano Giovannini