Il lungo inverno maliano
Il colpo di stato, la Primavera mancata e nuovi fenomeni di Jihad in crescita.
Negli ultimi mesi il fronte della Jihad ha dato segnali di ridefinizione dei propri confini: dall’Iraq alla Siria e da qui verso l’Egitto e la Libia. Da un lato la difficile gestione dell’era post “Primavera araba” si è andata a saldare a situazioni preesistenti molto delicate in Algeria e del Mali sino alla parte settentrionale della Nigeria.
[ad]In particolare la fascia sahelo-sudanese sub-sahariana è sempre stata regione fortemente in stabile, ecco perché recentemente il Sahara ha assunto una nuova centralità geopolitica, quindi, per i jihadisti, l’attenzione si è concentrata in particolare sul Mali e sull’intervento internazionale contro le formazioni radicali islamiche e secessioniste che ne hanno occupato il Nord e che hanno proclamato lo stato dell’Azawad.
Nel dettaglio l’infiltrazione massiccia e organizzata di formazioni jihadiste in Mali settentrionale risale al marzo-aprile del 2012 ed ha avuto l’esito di creare un vero e proprio stato islamico, sottoposto all’applicazione della shari’a.
Le aree di operazione che, fino all’intervento a guida francese del gennaio 2013 (operazione Serval), erano sotto il controllo delle forze islamiste, rientrano appunto nel cosiddetto Azawad, l’area a nord del paese che comprende le città di Timbuktu, Gao e Kidal. A complicare la situazione, oltre allo stato islamico, in quest’area i ribelli tuareg hanno rivendicato anche un proprio stato, riunendosi sotto la bandiera del MNLA (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad).
A quanto pare, secondo gli analisti, la situazione estremamente frammentata ha generato delle divisioni perfino in AQIM (la cellula di Al-Qaeda che agisce in Maghreb e nall’area Sub-Sahariana) generando un ulteriore processo di localizzazione della jihad, con la frattura di una parte di qaedisti dediti alla “guerra santa” in ambito tutto maliano.
Indipendentisti tuareg da un lato, jihadisti del MNLA dall’altro, con un nemico comune, il fronte del governo maliano di Diocounda Traorè, designato presidente ad interim (era presidente del parlamento) dalla giunta militare che ha deposto Amadou Toumani Touré (tra i motivi del colpo di stato anche le aspre proteste per la gestione delle ribellioni dei Tuareg), e il presidente francese François Hollande che vede la liberazione dell’Azawad (regione in cui recentemente è stato scoperto il petrolio) come obiettivo fondamentale.
Attualmente sono 2.400 i militari francesi schierati nell’operazione Serval. Gli elicotteri Gazelle continuano ad operare nei cieli nel nord del Mali assieme a due Dassault Mirage F1CR da ricognizione armati dell’aeronautica.
La crisi maliana ha visto il precipitare della situazione anche per la rottura del delicato equilibrio di confine che il regime del colonnello Gheddafi garantiva, inquadrando molti dei tuhareg in seguito tornati in Mali in corpi regolari.
La complessa fase di transizione democratica che molti paesi africani stanno affrontando sta ridiscutendo equilibri storici ed apre scenari del tutto imprevedibili.
In Mali nel frattempo la “primavera” non arriva.