La grande bellezza, Roma tra sublimi silenzi e volgarità assordante
“Io non volevo solo partecipare alla feste, io volevo avere il potere di farle fallire.” Si presenta così Jep Gambardella, il giornalista 65 enne interpretato da Toni Servillo a cui ne La grande bellezza Paolo Sorrentino affida l’onere e l’onore di raccontare, attraversando, splendori e miserie di Roma, l’umanità variegata che brulica nel suo ventre.
“Lei me lo deve spiegare, che cos’è una vibrazione”, chiede incalzante Gambardella ad un’artista concettuale che deve intervistare per la rivista con cui collabora. Cinismo e disincanto gli consentono di arrivare immediatamente al punto: la sedicente artista ha poco o niente da dire, al netto dei logori luoghi comuni sull’infanzia difficile ed i trascorsi di vita tormentati.
Gambardella attraversa il cosiddetto bel mondo che popola la capitale con questo passo: ironia, dissacrazione, distacco gli permettono di disintegrare fulmineo le menzogne che amano raccontare a sé stesse le persone che lo circondano.
Imprenditori, parvenu, intellettuali al servizio del partito che però non disdegnano di scrivere reality per la tv, trascinano le loro nottate da una festa all’altra, sniffando cocaina e facendo trenini su un celebre pezzo di Raffaella Carrà remixato dal Club Mix Bob Sinclair. “I nostri trenini sono i più belli di tutti. E sai perché? Perché non vanno da nessuna parte”, chiosa Jep. “Tutti tessono trame di rapporti inconsistenti, fagocitati in una babilonia disperata che si agita nei palazzi antichi, le ville sterminate, le terrazze più belle della città. Ci sono dentro tutti. E non ci fanno una bella figura”, spiega Sorrentino. La grande bellezza rimanda a La Dolce Vita di Federico Fellini e a La terrazza di Ettore Scola.
Sorrentino compone un mosaico umano che ricorda i quadri del pittore tedesco degli inizi di Novecento George Grosz: la deformazione dei caratteri rappresentati, talvolta ai limiti del mostruoso, morale e/o estetico che sia, fa emergere nettissima l’ipocrisia e vacuità che come un tarlo, dall’interno, divora la loro umanità. In una Roma “bellissima e indifferente. Come una diva morta”, va in scena “tutta la fatica della vita, travestita da capzioso, distratto, divertimento. Un’atonia morale da far venire le vertigini”.
L’amico Romano (interpretato da Carlo Verdone) e Ramona (Sabrina Ferilli) rappresentano gli unici barlumi di autenticità, nella vita di Jep. Il colore blu attraversa il film ogni volta che per Gambardella si apre uno squarcio di verità, non importa che sia tangibile o immaginato, perché forse i due estremi possono arrivare a toccarsi. Forse per Jep è addirittura possibile tornare a scrivere dopo 40 anni dalla sua prima ed unica opera, L’apparato umano.
Il film, uscito in sala il 21 maggio, annovera nel cast degli attori, oltre ai nomi già citati, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Anna Della Rosa, Giovanna Vignola, Roberto Herlitzka, Massimo De Francovich, Giusi Merli, Giorgio Pasotti, Massimo Popolizio, Isabella Ferrari, Serena Grandi. Luca Bigazzi è il direttore della fotografia, le musiche sono di Lele Marchitelli.La sceneggiatura è di Paolo Sorrentino e Umberto Contarello. La grande bellezza è stato proiettato in anteprima a Cannes il 20 maggio, raccogliendo dalla critica pareri eterogenei.
A margine del film, va sottolineata l’interpretazione puntuale di Toni Servillo, mentre il personaggio della Ferilli avrebbe potuto apportare ancora molto alla storia, se gli fosse stato dato maggior spazio. Il film scorre per la gran parte della sua durata ( 140 minuti circa), accusando un po’ di fatica verso la fine. All’uscita dalla sala, la sensazione è che per cogliere appieno il suo impatto sia necessario aspettare un po’ dopo “l’assunzione” dello stesso. O come ha detto qualcuno, “mi è piaciuto, ma non sono ancora in grado si spiegarlo. Ci devo pensare”.