Anche in questa occasione, durante questa tormentata estate di crisi, spread, CDS, manovre incerte e isteriche, paure e angosce economiche, non è mancata l’occasione per una delle più curiose e affascinanti manie della sinistra italiana: quella di innamorarsi, almeno tra editoralisti, commentatori e politici, dell’establishment economico-finanziario, la BCE, gli autorevoli, o presunti tali, giornali anglosassoni come l’Economist e il Financial Times, tutto quel mondo che pur lontano dal mondo della sinistra più volte negli ultimi anni ha criticato il governo Berlusconi, le sue politiche economiche, o meglio la sua titubanza nel prendere provvedimenti e fare riforme.
Sembrerebbe del tutto logico che l’opposizione faccia da megafono alle critiche che vengono al governo in carica, in fondo, senonchè qui siamo di fronte all’esaltazione di critiche mosse da posizioni culturali e dottrinali quasi opposte a quelle dell’opposizione stessa ancora più che al governo: le conseguenze nefaste del fatto che sia alla guida dell’Italia l’ “unfit” (Economist) o il “clownish” (Financial Times) Berlusconi sono infine per questi giornali l’incapacità e la mancata autorevolezza nel fare riforme necessarie che sono sempre in una direzione più liberista di quello che oggi sia cdx che csx propugnano o meglio perseguono nei fatti. E anche le critiche alla vita privata e alle vicende giudiziarie del Cavaliere qui vanno a parare, nelle conseguenze che hanno di rallentamento e danneggiamento delle riforme economiche necessarie.
Si tratta, infatti, di provvedimenti, quelli propugnati da questo mondo finanziario anglosassone e tedesco, che se realizzati porterebbero la CGIL a bloccare il Paese con gli scioperi.
E’ singolare vedere Repubblica riportare per esempio gli articoli del Wall Street Journal che rimprovera l’Italia per i tagli troppo timidi e in una colonna a fianco sottolineare con enfasi le proteste di addetti alla scuola o agli enti locali per i tagli stessi.
Questa contraddizione colpisce in particolare una categoria di giornalisti e politici: ovvero quei rappresentanti della sinistra “moderna”, che guarda all’esterno, all’Europa o anche agli USA come un riferimento di modernità e progresso, anche in senso non solo economico, quelli che palano di “fuga dei cervelli”, ricerca, produttività, tra i più giovani come Civati, oppure coloro che ci tengono a mostrare una poltica autorevole, seria, quasi “morale”, e che europeisti quindi tengono al rispetto e alla considerazioni delle regole europee e dell’immagine dell’Italia in Europa, come Bersani. In Civati e Bersani, diversi ma in questo uniti, queste tendenze lontane dalla tradizione anti-capitalista del vecchio PCI, convivono però con i vecchi istinti di sinistra e sindacalisti di opposizione ai tagli alla spesa sociale.
Così li vedi un giorno rimproverare il governo perchè la manovra non sarà sufficiente, e sarà giudicata troppo morbida nel consesso europeo (anche quando inserisce proventi della lotta all’evasione nelle fonti di entrata, vecchio cavallo di battaglia di sinistra), il giorno dopo aderire alle manifestazioni di enti locali e CGIL che criticano l’eccessivo rigore della manovra stessa. O meglio si fa notare la serietà e la rapidità dei provvedimenti bipartisan di altri Paesi, come la Spagna, rispetto a noi (e infatti lo spread tedesco spagnolo è ora inferore al nostro), senza forse avere approfondito il piccolo particolare che ora nella Costituzione spagnola è stabilito che in caso di disavanzo prima di creare debito saranno piuttosto tagliati gli stipendi statali. Qualcosa di radicalmente contrario a tutta la tradizione economica della sinistra europea.
I professori di economia più collaterali alla sinistra hanno spesso inserito nelle loro lezioni il libello di Keynes “Conseguenze economiche di Wiston Churchill”, in cui l’economista liberale britannico critica l’operato del futuro primo ministro come Cancelliere dello Scacchiere, negli anni ‘20, fatto di politica anti-inflazionistica di preservazione del gold standard, e di rigore nei conti senza intervento e stimolo statale.
Queste teorie tipicamente di sinistra ora sono coerentemente difese anche nella teoria solo dalle frange più radicali dello schieremento, per esempio da Vendola, che è l’unico a criticare esplicitamente l’impostazione di Trichet e della BCE, i parametri di Maastricht, e arriva, con un po’ di faccia tosta, a negare che l’Italia sia vissuta al di sopra delle proprie possibilità dopo il 1970, così da concludere, in un articolo sul “Manifesto”, con il suo fumoso linguaggio dicendo che ci vuole un “nuovo paradigma” in economica e politica.
Il punto centrale è che in un eventuale governo di csx cosa potrebbero dire e come potrebbero agire i suoi membri del PD, tirati da un lato dalla propria voglia di apparire europeisti, affidabili, seri e responsabili, riformisti, inclini a rispettare le indicazioni e l’esempio tedesco, e dall’altra trascinati indietro, oltre che dagli alleati radicali, dal proprio DNA culturale ed ideologico contrario ad affidarsi al privato, ai tagli in ogni settore, alle riforme delle pensioni.
Qui non si tratta delle titubanze e del freno tirato che un governo populista come l’attuale ha nell’andare nella direzione del rigore, ma proprio di una fatale oscillazione tra posizioni opposte.