Forse questa è la volta buona. Pare che Pd e Pdl abbiano raggiunto un accordo di massima per modificare la legge elettorale soprannominata “Porcellum”. Il via libera arriva dal vertice tra governo e maggioranza, in parallelo all’avvio del percorso costituzionale per le riforme.
[ad]“Sulla riforma elettorale – dichiara Pino Pisicchio – ci saranno prima dei correttivi al porcellum e poi una riforma vera e propria. L’incardinamento è previsto in commissione prima dell’estate”.
Ma qual è la ratio di un semplice correttivo alla legge elettorale e non di una riforma immediatamente più articolata? “C’è un accordo dentro la maggioranza per fare una riforma minimalista che ricostituzionalizzi il porcellum e possa essere utilizzata se, Dio non voglia, si vada alle elezioni in tempi brevi, mentre la riforma elettorale più organica avverrà dentro le riforme istituzionali”, ha spiegato il capogruppo Pdl alla Camera Renato Brunetta al termine del vertice di maggioranza che si è tenuto questa mattina a Palazzo Chigi. Entro il 31 luglio ci dovrà essere il via libera alla doppia lettura, alla Camera e al Senato, del ddl costituzionale che fisserà il percorso sulle riforme istituzionali e la modifica “minima” del porcellum.
D’altronde, ha sottolineato il capogruppo del Pdl al Senato, Renato Schifani, “non va sottovalutato quanto detto dalla Corte Costituzionale” sull’attuale legge elettorale. Per Schifani “è doveroso mettere in sicurezza questa legge elettorale e dopo la riforma della forma di Stato farne una nuova”.
La conferma che la maggioranza ha raggiunto un accordo è arrivata anche dal ministro per i rapporti col Parlamento Dario Franceschini: “Sì a norma di salvaguardia che non permetta di tornare a votare con questa legge elettorale”. A chi gli ha chiesto se la riforma minima del Porcellum prevede la sua abrogazione in favore del Mattarellum, Franceschini ha risposto: “Per ora c’è la clausola di salvaguardia. Quello che conterrà si vedrà”.
Tuttavia, nonostante le dichiarazioni ufficiali, le posizioni tra Pd e Pdl differiscono in più di un punto. Il partito di Silvio Berlusconi spinge per un’intesa su una piattaforma che non preveda preferenze e ridefinizione dei collegi e soprattutto disponga l’assegnazione del premio di maggioranza alla coalizione che raggiunge o supera il 40% dei voti; premio che scatterebbe sia alla Camera che al Senato. Il Pd invece storce il naso sulla soglia minima per ottenere il premio e preme per l’introduzione dei collegi uninominali.
Se andasse in porto la proposta pidiellina, il cambiamento rispetto al sistema attuale sarebbe sostanziale: mentre ora il premio di maggioranza alla Camera, su base nazionale, scatta in tutti i casi in cui una coalizione prenda anche un solo voto più dell’altra (vedasi il centrosinistra che a Montecitorio dispone del 55% dei seggi pur avendo preso il 30% dei voti), con la nuova formulazione il premio si avrebbe solo nel caso in cui una coalizione raggiungesse almeno il 40% dei consensi.
I nodi da sciogliere, dunque, sono ancora molti.