Il tour dei comizi
Sono finite le feste di partito, e si torna alla politica.
Da Chianciano Terme Pierferdinando Casini invoca, tanto per cambiare, la necessità di una nuova “responsabilità nazionale (mantra casiniano sin dai tempi del Ccd, insieme al tema della “famiglia”, come il federalismo per la Lega) e ad un duplice passo indietro: da parte di Berlusconi, che con la sua permanenza a Palazzo Chigi non fa che aggravare la situazione politica del paese, e da parte dell’opposizione che dovrebbe smetterla con un contrasto oltranzista e poco costruttivo nei confronti di un futuribile nuovo governo d’unità nazionale. Che in ogni caso non potrà che vedere Berlusconi tra gli interlocutori o tra i probabili artefici, in quanto leader del PdL.
[ad]Da Pesaro Bersani invece ribadisce la sua linea di condotta legata al tema delle alleanze. Pone però un giusto afflato di metodo quando segnala come molto spesso alcune forze politiche di opposizione (Idv e SeL in testa) tendono più a cercar di rosicchiare qualche voto al Pd, tramite polemiche o critiche più o meno velate, anziché a contrastare politicamente gli avversari del centrodestra. Quello stesso spirito che portò l’allora segretario del Pd Dario Franceschini, alla vigilia delle elezioni europee del 2009, a denunciare quella “strategia della somma zero” di Di Pietro (allora Vendola non era stato elevato a “vittima del dalemismo” per la vicenda pugliese e dunque si aggirava nello spazio politico all’insegna della più totale irrilevanza ottenendo meno voti dell’avversario storico Ferrero) che anziché togliere voti alla destra avrebbe logorato solamente il partito di maggioranza del centrosinistra. Lo stesso Bersani sempre dal palco di Pesaro ha tra l’altro ribadito come sul tema Penati la questione non sia tanto quello della diversità cromosomica o genetica della sinistra ma quello delle deliberate scelte politiche che hanno spinto nel corso degli anni ad adottare, da parte di dirigenti o esponenti politici del Pd, un comportamento diverso di fronte alle inchieste della magistratura rispetto agli omologhi del centrodestra (del resto anche l’elettorato del centrosinistra è molto più esigente di questo del centrodestra su questo argomento). Una razionalizzazione sostanzialmente perfetta che speriamo metta fine ad inutili teorizzazioni moralistiche su un presunto tradimento dell’insegnamento berlingueriano.
A Roma invece la kermesse di Atreju ha visto Berlusconi e Alfano tra i relatori più attesi. Berlusconi ha sfornato il suo solito repertorio contro Magistratura Democratica che ben conoscono gli aficionados di questa rubrica. Alfano invece ha fatto qualche passo indietro, forse sapendo l’orientamento maggioritario della platea di via di San Gregorio, rispetto al tema della premiership nel 2013.
Infatti all’interno del centrodestra le acque sono agitate. Lo sono dalla sconfitta alle elezioni amministrative di maggio, se non da prima. Mal di pancia che sono aumentati e si sono consolidati nella calda estate della manovra finanziaria che ha scontento molti all’interno del partito di maggioranza relativa del Parlamento (ebbene si: non ce la sentiamo più di definire il Popolo delle Libertà il “partito di maggioranza relativa del paese”!). La modifica della manovra, nella sua ultima versione, ha placato i malpancisti ma senz’altro l’intervento di Giuseppe Pisanu, primo esponente del partito a chiedere dichiaratamente le dimissioni del premier, rischiano di portare ad una situazione simile al finale di “Spartacus”, forse il meno riuscito film del grande Stanley Kubrick, dove gli schiavi, provando reciprocamente un sentimento di empatia, si autodenunciano davanti alle legioni romane per non svelare la vera identità dell’uomo che aveva osato sfidare il potere costituito. Inutile dire che già allora l’esercito romano era capeggiato da Marco Licinio Crasso, l’uomo più ricco del paese.
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