Esiste una destra oltre Berlusconi? E’ normale che per un ventennio, ininterrottamente, uno schieramento politico venga guidato dallo stesso leader, passando da vittorie, pareggi e sconfitte elettorali senza che si profili neppur la benchè minima ombra o prospettiva di ricambio o di “rottamazione”? La questione è più che mai seria, e non si riduce al vecchio e consunto scontro tra anti e pro-berlusconiani, tra chi vede nel Cavaliere un criminale e chi lo difende come perseguitato politico. Investe invece il terreno della politica vera e propria e la stessa concezione di democrazia interna e di rinnovamento della classe dirigente di un partito, anticamera della qualità stessa della democrazia.
[ad]Dal lontano maggio ’93, ormai vent’anni, il centro destra italiano è legato a doppio filo al Cavaliere ed alla sua creatura politica, Forza Italia (ora Pdl, è vero, ma è un semplice cambio di etichetta visto che sostanza e protagonisti sono gli stessi). Vent’anni, in politica, campo del cambiamento quotidiano e di leader dalla durata di un allenatore a Palermo, rappresentano un’era geologica: non a caso nello stesso lasso di tempo la sinistra italiana ha visto generazioni di partiti, partitini, movimenti e, soprattutto, leader politici nascere, crescere e, con tempi diversi, morire ed estinguersi dalla scena politica e, spesso, dalla memoria collettiva del paese. A destra, niente di tutto questo: più longevo di quella che fu la campionessa storica della destra europea, Margaret Thatcher, Silvio Berlusconi continua a influenzare e incidere profondamente sulla politica italiana, saldamente al comando dello schieramento di centrodestra, senza che quasi nessuno, proprio da destra, ne metta in dubbio, e ancor meno provi a sfidare, la legittimità.
Tralasciando il tornaconto personale del Cavaliere in termini di prestigio, arricchimento economico, gestione del potere e garanzie giudiziarie, che non lo spinge di certo ad un volontario abbandono della politica, oggi ci si dovrebbe forse chiedere qual’è stato (e qual è) l’effetto prodotto dal berlusconismo sulla destra italiana. Non parliamo di voti raccolti, né di performance elettorali: da questo punto di vista è innegabile l’abilità politica e mediatica del candidato Berlusconi, capace di raccogliere milioni di voti ad ogni tornata elettorale. Parliamo invece di prospettive politico-ideologiche, contenuti culturali, qualità della classe dirigente. E parliamo di prospettive future, ovvero: quando Berlusconi uscirà di scena (per scelta politica o per vicende personali), in che stato lascerà il proprio schieramento?
Analizzando la situazione attuale del centro destra, oggi più che mai, oltre Berlusconi c’è il niente. Il Pdl è un “partito di plastica” (definizione politologica, non polemica), senz’altro di massa viste le proporzioni del voto raccolto, ma le cui prospettive coincidono con il consenso goduto dal suo ideatore e leader, senza il quale si riduce a una scatola vuota, senza prospettive né protagonisti di rilievo. Un partito senza alcun radicamento nel territorio, cioè non basato su quella fitta rete di circoli e sezioni caratteristico dei partiti politici tradizionali, che ha proprio il compito di fare da filtro tra cittadinanza e rappresentanti politici, di selezionare la classe dirigente e di raccogliere il consenso. Ha una classe dirigente nazionale di oggettiva scarsa qualità, scelta per cooptazione e fedeltà al Cavaliere più che per abilità politiche e di buon governo, con sistematiche infornate di personaggi vicini personalmente al Capo, dall’amico e socio d’affari Marcello Dell’Utri, all’avvocato Niccolò Ghedini, all’igienista dentale Nicole Minetti.
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La democrazia interna è pari a zero: congressi e assemblee di partito dallo stile nordcoreano, con il (caro) leader confermato ciclicamente per acclamazione, e caratterizzate da assenza di pluralità, di dibattito e confronto vero tra posizioni politiche diverse. Di primarie, o comunque di meccanismi democratici di selezione del candidato premier e dei parlamentari, nemmeno l’ombra: chi ha timidamente provato a proporsi, vedi l’eterno delfino Alfano prima delle ultime elezioni, è stato costretto a tornare alla base con la coda tra le gambe e a sostenere l’ennesima discesa in campo del Cavaliere, mentre la palla della scelta dei candidati rimaneva nelle mani del triumviriato berlusconiano Verdini-Cicchitto-Bondi, e dei vari Ras locali di comprovata fiducia alla Nitto Palma o alla Nicola Cosentino.
[ad]Neppure a livello di elaborazione ideologica-politica abbiamo assistito a un’evoluzione. La proposta politica del centrodestra italiano rimane sostanzialmente quella che fece la fortuna di Forza Italia dal 94 in poi: un mix di liberismo, antistatalismo e populismo, infarcito della consueta polemica antigiustizialista e anticomunista; una proposta che, alla faccia di chi aveva già prepensionato il berlusconismo come filosofia politica fallimentare, continua ad attrarre i voti di tanti italiani.
Al di fuori del Pdl, di destre alternative, con proposte politiche diverse, innovative, moderne, non c’è traccia. Negli anni il Cav. ha divorato con bulimica voracità quel che del centrodestra era rimasto fuori da Forza Italia: ha abilmente attratto nella sua orbita Alleanza nazionale, inglobandone larga parte dell’elettorato ex missino e degli uomini più rappresentativi, e rottamandone le istanze neofasciste più indigeribili per l’elettorato moderato; ha addomesticato la Lega, trasformandolo dal movimento grezzo e difficilmente domabile qual’era in fedele e stabile alleato di governo. Dal “catch all party” azzurro sono rimaste fuori le briciole, partitini di destra a percentuali dello zero virgola. E chi, da destra, ha provato a mettersi di traverso e a sfidare il gran Capo (per ambizioni personali, sia chiaro), come Gianfranco Fini, ha pagato caro, costretto all’esilio prima ed all’estinzione politica poi. Non ha ammesso né ammette sfidanti aperti, il Cavaliere: un controllo totale che si basa su di un granitico consenso politico-elettorale personale, garantitogli da un elettorato mediaticamente fidelizzato, motivato più dalla “pancia” che dalla testa e pronto a seguirlo fino alla fine. Eppure, oggi più che mai, alla destra italiana mancano nuovi protagonisti e nuovi volti, ma soprattutto nuove idee e nuove proposte che vadano oltre il berlusconismo, perché nonostante sia pur sempre uno dei protagonisti della politica italiana, Berlusconi è comunque un leader sul viale del tramonto, quanto meno per l’età anagrafica. E invece, mentre le destre europee si evolvono, mutando non solo nomi e simboli, ma anche protagonisti, ideologie e proposte politiche, il centrodestra italiano rimane ostaggio del berlusconismo, di quella “rivoluzione liberale” promessa e cento volte tradita. Un ostaggio che sembra soffrire della sindrome di Stoccolma, volontariamente e disperatamente aggrappato al suo unico leader “sequestratore” per non sparire, e che non si accorge di quanto questo eterno procrastrinare il cambiamento lo sta già danneggiando. Resta oggi difficile dire chi o cosa, quando Berlusconi gli darà l’addio, ne prenderà il posto.