Tokyo e la banca centrale. La scorsa settimana ha portato sui mercati le prime correzioni, attese da tempo e che hanno scatenato ondate di vendite a catena.
[ad]Gli investitori, sapendo bene che una discesa dei prezzi era alle porte (e forse in ritardo) hanno approfittato di due inneschi per prendersi una pausa e stare alla finestra a guardare gli eventi, lasciando sul mercato il (piccolo, rispetto agli anni passati) parco buoi, i piccoli investitori.
Gli inneschi sono stati principalmente due, ovvero l’ambiguità di Bernanke a proposito della exit strategy a proposito dell’alleggerimento quantitativo (ovvero la prospettiva che la Fed riduca la quantità di droga monetaria immessa nel sistema) e i timori circa il rallentamento dell’economia cinese. Tuttavia i motivi di preoccupazione sono altri, e se vogliamo ben più gravi.
A parte la solita Europa che non riesce a tirarsi fuori dal pantano, il Giappone sembra non vedere andare le cose come dovrebbero. L’Abenomics ha indubbiamente galvanizzato molti investitori, e ha spirito i mercati azionari e valutare nella direzione desiderata, tuttavia il governatore Kuroda non sta riuscendo nella stessa missione sui mercati obbligazionari: se infatti da un lato si riesce a svalutare lo yen, dall’altro la Nippon Ginkou non sta riuscendo nel tentativo di mantenere i rendimenti dei titoli giapponesi (JGB) ai livelli desiderati, specie sulla parte lunga, dove sta acquistando a mani basse.
Questo, in teoria, non dovrebbe essere sorprendente, poiché se gli investitori comprano sull’azionario vuol dire che smobilitano dall’obbligazionario, si compra da un lato e si vende dall’altro: il problema è che i poderosi acquisti della banca centrale giapponese riguardano anche i titoli a lunga scadenza, ma la pressione delle vendite (che non è anomala, bensì da manuale del trader) sta mettendo in difficoltà la politica monetaria. Con tutto ciò che ne conseguirà nelle prossime puntate.
Chissà, Kuroda e il premier Shinzo Abe impareranno che in economia non esiste la bacchetta magica.
Agenda macroeconomica molto povera all’inizio della settimana: i dati più interessanti, infatti, cominceranno ad affluire solo mercoledì, a cominciare da tasso di disoccupazione tedesco che dovrebbero rimanere stabile al 6,9 per cento. L’Italia attende di sapere come va la fiducia delle aziende, che gli analisti si attendono in lieve aumento, ma non sarebbe la prima volta che verrebbero delusi. Nel pomeriggio avremo poi la stima flash degli indice dei prezzi al consumo per la Germania, che dovrebbe segnare un lieve aumento sia su base mensile (0,2 per cento) che su base annua (1,3 per cento).
Giovedì negli Stati Uniti, oltre alle solite richieste di sussidi di disoccupazione, che gli analisti attendono stabilì a 340 mila unità, ci sarà la stima preliminare del prodotto interno lordo che è atteso in crescita su base trimestrale del 2,5%.
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[ad]Venerdì le vendite al dettaglio tedesche dovrebbero segnare un aumento frazionale dopo la caduta della rilevazione precedente. Il tasso di disoccupazione italiano, poi, dovrebbe risultare sostanzialmente stabile al piuttosto elevato livello dell’11,2 per cento. Rimanendo nel Belpaese, la stima preliminare dell’indice dei prezzi al consumo dovrebbe segnalare un lieve aumento dello 0,1 per cento su base mensile. In uscita poi ci saranno anche l’indice dei prezzi al consumo e la disoccupazione dell’area euro: il primo è atteso in aumento a +1,4 per cento su base annua, mentre il tasso di disoccupazione dovrebbe salire dal 12,1 al 12,2 per cento.
Sabato primo giugno, infine, l’indice PMI cinese che misura l’attività dei direttori degli acquisti potrebbe segnalare che anche la manifattura del dragone è in rallentamento.