Astensionismo: nella solita ressa delle dichiarazioni post voto di pseudo-vincitori e sicuri sconfitti, a colpire sarà soprattutto il silenzio, imbarazzante e preoccupante, del primo partito uscito dalle urne (primo non solo a Roma, ma in tutta Italia). Il partito degli astensionisti: di chi, a votare, non è proprio andato.
[ad]Un partito in forte, spaventosa crescita: a questo turno di amministrative ha votato solo il 62,38% degli aventi diritto, contro il 77,12% del turno precedente, un impressionante calo di dodici punti percentuali.
A Roma, dove si svolgeva lo scontro più importante e sentito, quello che vedeva contrapposti, tra gli altri, il sindaco uscente Gianni Alemanno ed il candidato “ribelle” del Pd Ignazio Marino, un elettore su due ha disertato i seggi. Ha votato solo il 52,80%, contro il 73,66% del 2008. E in tre Comuni del Sud Italia le elezioni sono state addirittura dichiarate nulle a causa del mancato raggiungimento del quorum.
Come a Roccaforte del Greco (Rc), dove a votare c’è andato solo l’11%, poco più di un elettore su dieci. Dati e numeri preoccupanti (mitigati in parte dall’ “effetto traino” del 2008, quando si votò in contemporanea con le politiche), veri e propri campanelli di allarme che arrivano da una cittadinanza sempre più stanca e disaffezionata, in fuga dalla politica, dalle sue logiche e dai suoi riti spesso incomprensibili.
Un’altra sberla alla classe politica italiana, dopo il terremoto elettorale dello scorso febbraio che ha sinistrato Pd e Pdl, con una preoccupante novità in più: il flop, evidente e innegabile, del Movimento Cinque Stelle, precipitato a livelli lontani anni luce dal boom delle politiche di febbraio, e rimasto fuori da tutti i ballottaggi. Un tonfo simile non può essere giustificato soltanto dalla seppur nota debolezza dei grillini alle amministrative, dove lo scontro destra-sinistra e la forte personalizzazione della sfida premia figure conosciute e “forti” (una sorta di “effetto Serracchiani”), né dalla poca mediaticità dei loro candidati, De Vito su tutti.
La protesta (o proposta) del M5S sembra cominciare a non convincere più chi li aveva votati alle politiche, specialmente quella fetta composta dagli ex astensionisti che ne avevano riempito i serbatoi lo scorso 24-25 febbraio, ma che le tante e seppur comprensibili incertezze dei “cittadini in Parlamento”, smarriti tra gaffes e dibattiti sterili su diarie e rimborsi, stanno convincendo a tornare al partito del non voto.
La crescita esponenziale dell’astensionismo non dovrebbe essere quindi sottovalutata dalla classe politica italiana (incluso il Movimento Cinque Stelle, che ora ne fa comunque parte), né bollata come fenomeno passeggero e occasionale dovuto al poco appeal delle amministrative. Il calo di fiducia e attaccamento nei confronti della politica e dei partiti da parte degli italiani è infatti un trend costante negli ultimi anni, a tutti i livelli di governo, e denota un disagio profondo che è stato solo in parte e superficialmente intercettato da Beppe Grillo e dal suo “tutti-a-casa”, ma che con grande facilità può tornare ad essere “apolide”, in cerca di nuovi futuri interpreti in grado di cavalcarne le istanze e gli umori (sempre più neri, visti i tempi); non a caso non c’è stato alcun “ritorno a casa” dei voti persi dai grillini, cioè nessun recupero di consensi e fiducia da parte dei partiti tradizionali (a Roma, ad esempio, il Pd ha preso la metà dei voti conquistati nel 2008, quando perse), il cui calo continua ad essere evidente e preoccupante.
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Se i partiti e i movimenti politici italiani non vogliono decretare la frattura definitiva tra classe politica e cittadinanza, anticamera di possibili e inquietanti scenari più estremistici e meno pacifici di un ex comico fattosi leader politico, dovrebbero avviare una fase di profonda e sincera autocritica.
[ad]L’obiettivo auspicabile sarebbe l’avvio di una vera stagione di riforma delle strutture partitiche e delle forme di finanziamento politico, ma anche, o forse soprattutto, delle proposte politiche e programmatiche in campo, in grado di riconquistare il cuore e il voto dei tantissimi astensionisti. E invece, come al solito, è già partito il patetico coro di chi si arroga la vittoria e accusa gli avversari di sconfitta, senza vedere come, semplicemente, il vincitore non c’è.
Di fronte ad una classe politica che sembra sempre più incapace di dare risposte credibili ed efficaci ai problemi del paese, davanti all’inciucio governativo Pd-Pdl da un lato, e da un’opposizione grillina per ora sterile e senza risultati dall’altro, per tanti l’unica risposta valida è sembrata quella di restare a casa, e senza nemmeno la consolazione, questa volta, di poter andare al mare. “Piove, governo ladro”. Appunto.