Negli ultimi mesi si è assistito a tensioni sul lato del debito in Europa, con aumenti degli spread tra i titoli di vari Paesi europei e i bund tedeschi. Le ragioni sono abbastanza note: i timori per un probabile default della Grecia che, mettendo in crisi le banche (soprattutto francesi e tedesche) piene di titoli tossici greci, provocherebbe un forte rallentamento o una nuova recessione in Europa, l’aumento stesso dei debiti pubblici in Europa che, a parità di liquidità, creano una situazione di maggiore concorrenza tra titoli, considerando quella già esistente con la miriade di fondi disponibili. Il debito pubblico tedesco è cresciuto in valore assoluto oltre quello italiano, la maggiore offerta sul mercato di titoli di tale affidabilità fa cadere il valore di altri titoli, e quindi aumentare il loro tasso di interesse. I tassi sono aumentati abbastanza proporzionalmente, da quelli greci che ormai hanno raggiunto livelli di default, a quelli francesi che rimangono sicuri pur se saliti.
In mezzo abbiamo visto due casi interessanti di “sorpassi”:
La crescita inferiore dei tassi irlandesi rispetto a quelli portoghesi che li ha portati a farsi superare da questi ultimi, spiegabile con il fatto che la crisi irlandese provocato da sofferenze bancarie più che da problemi di bassa crescita e spesa pubblica (caso portoghese), è in via di risoluzione dopo due anni di ristrutturazioni e tagli alle spese ed essendo la competitività irlandese mantenutasi elevata (per esempio non hanno voluto rinunciare alla tassazione di favore per le imprese). Il Portogallo invece, pur avendo con in nuovo governo di centrodestra avviato pesanti e coraggiosi tagli, rimane strutturalmente meno competitivo e produttivo.
Il secondo e più interessante caso è quello italo-spagnolo: la Spagna ha subito la crisi in modo più pesante e strutturale, anche da un punto di vista psicologico, avendo avuto prima una crescita economica sostenuta e diciamo esemplare in Europa, una crescita, tuttavia, molto basata sul credito facile, il debito privato, l’edilizia. Negli ultimi 10 anni era stata costruita una cubatura in immobili maggiore di quella degli altri maggiori Paesi europei messi insieme. Lo sgonfiamento di questa bolla è cominciata ancora prima della crisi internazionale di fine 2008 e questa è stata quindi particolarmente micidiale e duratura: anche se grazie a potenti iniezioni di liquidità nel 2009 non si sono toccati picchi di caduta del PIL, nel 2010 la Spagna è stato l’unico grande Paese a rimanere in recessione, segno di una struttura economica che era retta per lo più da bolle, sia quella immobiliare, sia quella della spesa pubblica, con finanziamenti improduttivi alle energie pulite e un sistema di welfare per disoccupati e minori insostenibile a Sud di Copenhagen. Nonostante un debito pubblico inferiore (ma salito molto più velocemente) la Spagna aveva sorpassato l’Italia nell’elenco delle economie più a rischio in Europa, anche per il rapporto deficit/PIL schizzato a livelli più che doppi del nostro. Lo Spread tra bonos spagnoli e bund così dalla seconda metà del 2010 è stato superiore al nostro.
In questa estate di fibrillazioni, manovre occhi ountati ogni minuto su Borsa e titoli del Tesoro, la Spagna è tornata ad essere più affidabile di noi, almeno a dar retta a questo indice.
Cosa è successo? Certo, è vero che coloro che tra USA e Inghilterra scommettono su un fallimento dell’euro e tifano per il dollaro hanno maggiore convenienza a mirare all’Italia per ottenere il loro obiettivo, ma il motivo principale è nella diversa decisione e pragmatismo, il maggiore coraggio dimostrato in Spagna nell’affrontare la crisi e prendere provvedimenti impopolari. Mentre da noi il governo era in balia delle titubanze interne, dei piagnistei di enti locali e consumatori, l’ipocrisia dei media che prima lamentano gli sprechi di comuni minuscoli e province e poi trovano mille patetici motivi per volerli salvare, in Spagna si discuteva e poi rapidamente si approvava in modo bipartisan una modifica alla Costituzione, all’articolo 135, chee stabilisce la regola assoluta del pareggio di bilancio, derogabile solo in caso di recessione, e per cui in caso di sforamento saranno da tagliare automaticamente le spese come gli stipendi degli statali, pur di non creare debito. La cosa interessante, agli occhi dell’Italia, è che su questa base si sono trovati d’accordo sia PP che PSOE, che hanno così ignorato le proteste dei sindacati, ma anche degli enti locali, in Spagna ancora più potenti che da noi per la presenza delle comunità autonome. E’ vero che nella relativamente breve storia della democrazia spagnola (30 anni più giovane della nostra) ci sono meno incrostazioni corporative e meno lobbies nefaste, ma è da segnalare che c’è stata la forza di ignorare anche le spinte e i clichè dei media, come la passione sfrenata che mostrano verso gli “indignados”, le cui istanze sono state ignorate, probabilmente anche grazie alla constatazione che alle elezioni regionali sono risultati assolutamente ininfluenti, anche nell’affluenza.
Influisce anche il fatto che vi è una tradizione alla “vocazione maggioritaria” in Spagna per cui a parte appoggi esterni dai partiti localisti non si tende ad allearsi ad altre forze minori, e il PSOE non ha mai ceduto alla tentazione di allearsi a Izquierda Unida, il partito di sinistra radicale. Non vi è insomma un Vendola che parla di “dittatura dei mercati”, di “uscire dalla logica del rigore finanziario” a frenare il risanamento dei conti nella sinistra spagnola. Così come non vi è una forza populista stile Lega Nord che per compiacere la propria (e dei suoi elettori) pochezza analitica si oppone a interventi assolutamente necessari come quelli sulle pensioni.
Sarebbe un bel sogno pensare che coloro che invocavano uno Zapatero italiano quando sembrava il paladino dei laici e della modernità, ed era una delle ennesime icone cool della sinistra, ora prendano esempio anche da questo suo coraggio in economia, anche se va contro tutto ciò che la sinistra ha sempre predicato (welfare anche con spesa in deficit), ma del resto nessun problema, non sarebbe la prima volta.