Sono girate molte immagini e numerosi commenti a proposito dell’aula di Montecitorio che lunedì discuteva della ratifica della convenzione di Istanbul sulla violenza sulle donne (“Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica”, siglata lo scorso settembre a Strasburgo).
Un’aula semi vuota.
Provando ad andare oltre l’indignazione immediata che è scattata in tanti cittadini (e soprattutto cittadine), l’immagine emblematica dei banchi deserti della Camera racconta molte cose.
[ad]La prima. Metterla in discussione proprio ieri, in contemporanea con le elezioni amministrative in tanti comuni italiani, non è sembrata una scelta azzeccata. Si poteva forse immaginare che tanti parlamentari fossero impegnati sul proprio territorio per seguire l’andamento delle elezioni locali (il fatto che la votazione sia prevista per oggi, quando presumibilmente la presenza dei parlamentari sarà ben più consistente, non è giustificazione sufficiente, a fronte del danno arrecato dalle immagini di ieri).
La seconda. Le immagini hanno una potenza incredibile.
Sottovalutarne la portata, di questi tempi, non è un errore di comunicazione, è un errore politico (con buona pace dei tanti che ancora non hanno ben capito cosa sia la “comunicazione politica” e continuano a ridurla a qualche slogan più o meno azzeccato).
Il tema della violenza sulle donne è per forza di cose al centro della nostra attenzione, adesso, in questi giorni, con una sequenza terribile di omicidi di donne che occupano tutte le cronache dei media e che scuotono profondamente la parte più sensibile della popolazione italiana.
L’immagine dell’aula sconsolatamente vuota accentua, che lo si voglia o meno, l’idea del distacco profondo tra i luoghi istituzionali e il vissuto dei cittadini.
La terza. Non sappiamo quali fossero i parlamentari presenti e quali quelli assenti ieri, tranne i pochi che con encomiabile sforzo personale cercano di “dare conto” del proprio operato attraverso blog e social network.
Evidentemente non basta. Ma soprattutto non è la strada corretta.
E’ chiaro che in un momento come questo – dove si misura una distanza sempre più accentuata e preoccupante tra cittadini e rappresentanti eletti nelle istituzioni (attraverso una legge elettorale che di fatto impedisce di sceglierli) – non avere alcun “luogo” né fisico, né “virtuale”, di incontro effettivo ed efficace tra eletti ed elettori, rappresenta un limite enorme.
Che andrebbe superato al più presto.
Creando un luogo dove, ad esempio, i parlamentari possano rendicontare sull’attività svolta e interfacciarsi positivamente con i cittadini, ascoltando e condividendo quanto più possibile le decisioni.
Iniziando a ri-costruire un rapporto reale e costruttivo con l’elettorato.
Un luogo che consenta agli elettori di conoscere e valutare effettivamente l’operato degli eletti ma anche di contribuire fattivamente alla costruzione delle scelte. Un luogo che, al contempo, garantisca agli eletti di essere valutati ciascuno per il proprio operato, evitando di essere accomunati malamente nel “i politici sono tutti uguali”. Non lo sono e vale la pena farlo sapere ai cittadini, non solo a parole ma attraverso la conoscenza dell’agire di ciascuno.
Nel chiacchiericcio di fondo che ci accompagna quotidianamente sulla bontà o la perversione della “rete” e dei social network, si continua a perdere di vista il focus principale: “la trasparenza e l’accessibilità di tutte le informazioni, la collaborazione dei migliori e la partecipazione alle decisioni finali delle rispettive comunità sono le ali del futuro”, come scrive Riccardo Luna nel suo bel libro “Cambiamo tutto!“.
La rete è questo, basta saperlo. E soprattutto volerlo.
Per questo la politica non può più sottrarsi. Si deve attivare e mettere rapidamente in atto un uso positivo e intelligente degli strumenti digitali. Le “buone pratiche” passano necessariamente (anche) da qui.
Pena continuare ad aumentare la disaffezione che anche queste ultime elezioni locali hanno dimostrato e misurato: l’aumento sempre più consistente della quota di elettori che non sono andati a votare.
Che è qualcosa di più di un campanello di allarme.