Il Nord Caucaso è sempre più simile ad una polveriera pronta ad esplodere. È un costante stillicidio di vittime e di piccoli attentati ma dal forte contenuto simbolico quelli che stanno devastando il nord del Caucaso ed in particolare la Repubblica russa del Daghestan, riportando l’attenzione degli osservatori europei su questa turbolenta area geografica di cui si parla poco ma che presenta forti tensioni sempre pronte ad esplodere con la violenza.
[ad]È di due giorni fa la notizia di un nuovo assassinio, questa volta di un tenente di polizia in una cittadina del Dagestan non lontano dalla capitale Mahachkala ad opera di delinquenti attualmente non identificati, ma presumibilmente appartenenti a una delle numerose bande criminali o paramilitari che da anni destabilizzano la situazione politica del paese, ferendo e uccidendo esponenti del potere locale e filorusso e che nell’ultimo mese ha intensificato la sua azione ai danni delle forze di polizia e di sicurezza russe, entrate prepotentemente nel mirino di questi atti terroristici.
Quest’ultimo episodio è stato preceduto pochi giorni prima da un lungo conflitto a fuoco, avvenuto sempre in Daghestan fra la polizia stradale e criminali ancora non identificati, che non ha causato per fortuna morti ma solo alcuni feriti fra i poliziotti. Quasi contemporaneamente a questo episodio per così dire marginale ha avuto luogo una forte esplosione, ad opera di un kamikaze, nei pressi dell’edificio sede del ministero degli interni dove ha perso la vita un uomo e tredici persone sono rimaste ferite in modo più o meno grave.
L’episodio che probabilmente ha portato a questa escalation di violenza contro la polizia è stata la massiccia operazione antiterrorismo avvenuta a metà maggio nella turbolenta Repubblica caucasica. Durante questo blitz a cui hanno partecipato forze della FSB (Servizio Federale per la Sicurezza), ovvero la potentissima unità militare riformata da Putin, e il Ministero degli Interni.
Come risultato delle operazioni sul campo si può annoverare l’individuazioni di basi logistiche e di rifornimento di cellule terroristiche. Dopo diversi conflitti a fuoco le forze governative sono riusciti ad arrestare numerosi presunti terroristi e ad uccidere quattro uomini ad esse appartenenti, che secondo le informazioni in possesso della polizia avrebbero commesso, nell’ultimo anno diversi omicidi, rapine ed estorsioni e avrebbero partecipato a diversi assalti contro le forze armate russe.
Inoltre la polizia ha avuto modo di sequestrare una grande quantità di armi fra cui fucili d’assalto, mitragliatrici leggere, numerose munizioni e componenti per ordigni esplosivi. Questa operazione non è stata indolore per le autorità russe in quanto fra le loro file si possono contare tre feriti e un morto e diverse vittime fra la popolazione civile, il cui numero non è stato reso noto.
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Dunque, una vera è propria guerra strisciante e subdola quella che nell’ultimo mese ha preso piede in Daghestan e che rischia di diffondersi come un’epidemia alle instabili Repubbliche del Nord del Caucaso, dove un intreccio pericoloso di estremismi religiosi, forze centrifughe indipendentiste, influenze internazionali (come quelle della vicina Georgia) che mirano volontariamente a destabilizzare l’area e l’endemica e gigantesca corruzione degli apparati statali che spesso si trovano in conflitto al loro interno, minaccia la pace. Intanto le forze di polizia riescono a stento a fronteggiare l’aggressività di queste bande armate e lamentano la scarsità di uomini, mezzi e di un comando efficiente in grado di seguire una linea difensiva univoca e non contraddittoria.
[ad]Proprio per questo motivo l’interesse per ciò che sta avvenendo nel Caucaso russo e in particolare in Dagestan sta risvegliando la politica. In particolare mercoledì scorso è intervenuto a sostegno del governatore del Dagestan, bersagli di molte critiche, il giovane presidente della Cecenia e fedelissimo di Putin, Razman Kadyrov, sostenendo che: “Abdullatipov è in grado di affrontare la difficile situazione in Dagestan, e lo fa con grande successo. E’ un patriota e ama il suo popolo, e sono sicuro che riuscirà a fronteggiare i terroristi”, ha detto Kadyrov, sottolineando che Abdullatipov è un politico esperto e navigato. Attualmente il presidente Ceceno potrebbe essere incaricato da Vladimir Putin di costituire una task force diplomatica per risolvere la crisi del Dagestan, di concerto con la Georgia, paese che in passato non ha negato di spalleggiare e proteggere i gruppi armati che devastano la piccola Repubblica ma che adesso è costretta a prendere posizione contro la guerriglia a seguito del mutato clima politico interno, meno anti russo.
Accanto a questi movimenti diplomatici locali, si muove anche la grande diplomazia per vedere meglio cosa sta accadendo nel Caucaso. Il 30 maggio, infatti, il Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, ha avuto un incontro con il presidente russo Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov circa la richiesta da parte del Consiglio di ammettere osservatori europei in Abkhazia e Ossezia del Sud. Le regioni che nel 2008 furono teatro dei sanguinosi scontri fra Russia e Georgia.
Jagland ha reso noto la notizia dopo l’incontro con il vice ministro degli Esteri della Georgia, David Zalkaliani.
“Si è parlato di una missione di monitoraggio. Fino ad ora non abbiamo avuto questa possibilità, ma stiamo lavorando sul problema. Ho sollevato la questione nel corso della riunione con il presidente e il ministro degli Esteri russo. Spero davvero che in futuro saremo in grado di annunciare che una missione di monitoraggio possa venir concessa nella zona di conflitto “. Ha detto Jagland.
Dunque il cerchio si stringe e il mondo comincia a guardare con timore una possibile escalation di violenza in una delle aree più instabili del mondo. Insieme alla Siria, ora la Turchia, il Caucaso potrebbe diventare un ennesimo fronte caldo pronto ad esplodere con violenza, come già avvenuto in un recente passato e come lo stillicidio quotidiano di morti sta a testimoniare.