Che fine ha fatto il grande centro?
Che fine ha fatto il grande centro?
Ve lo ricordate ancora il “grande centro ”? Se ne parlava come una delle grandi novità delle elezioni 2013, candidato a nuovo ago della bilancia della politica italiana, terzo polo in salsa europeista e rigorista, in grado di scardinare il vecchio bipolarismo Pdl-Pd e pacificare lo scontro eterno tra berlusconiani e antiberlusconiani. Nato in calce all’esperienza del governo di Mario Monti, osannato nei suoi primi fortunati tempi come salvatore della patria ed amico fraterno di Frau Merkel, il progetto del grande centro aveva preso respiro e fiducia, dato al 15-20% dai sondaggi, imperniato proprio sulla figura del professore, trasformatosi in un batter d’occhio da algido tecnocrate europeista in candidato premier.
[ad]Al suo fianco, i due ispiratori della candidatura Monti: Pierferdinando Casini, Dc della prima ora, nove legislature e trent’anni in Parlamento, che nella nuova coalizione montiana aveva visto l’ultima ancora di salvataggio per un’Udc in crisi di consensi e voti fin dal 2006; e Gianfranco Fini, figliol prodigo della destra italiana, in fuga ritardataria dal berlusconismo ed in cerca di nuovi orizzonti, collocazioni e seggi parlamentari per sé e per gli sparuti sodali di Futuro e Libertà.
La triste storia è ormai nota: complice una campagna elettorale dura e poco avvezza ai toni concilianti degli ex Dc, complice un Monti che si inventava con un’approssimazione disastrosa e penosa leader politico e capopopolo, lo tsunami elettorale di febbraio ed il conseguente scenario tripolare che ne è scaturito hanno spazzato via qualsiasi velleità politica del progetto neocentrista, confinandolo elettoralmente sotto il 10% e rottamandolo politicamente ai margini dei veri giochi di Palazzo. Insomma, altro che ago della bilancia della politica italiana, altro che 20 per cento: quelli che furono gli ispiratori della lista Monti sono oggi stelle decadenti della politica italiana, supernove in procinto di spegnersi del tutto.
Partendo proprio dall’ex premier Monti, il cui governo è finito tra veleni e pugnalamenti incrociati, e che si trova oggi, abbandonato dai vecchi compagni di viaggio, a non contare politicamente quasi più niente: è vero che nella squadra di governo ci sono esponenti di Scelta Civica, ma non certo in ruoli o ministeri chiave (se si esclude la Difesa, andata all’ex Pdl Mauro), riservati ai big del Pd e del Pdl; il prestigio personale di Monti, poi, è ancora più incrinato, lontano anni luce dai fasti del 2012 e delle copertine su “Time”. Ancora più eclissato, Pierferdinando Casini: alle elezioni ha visto la sua Udc franare, insieme al professore ed ai suoi sogni di gloria, all’1,7%, entrando alla Camera per il rotto della cuffia, e costretto poi a rimangiarsi l’alleanza col professore, definita senza un briciolo di riconoscenza “un grande errore”.
Per sé è abilmente riuscito a ritagliarsi la Presidenza della Commissione Esteri al Senato, mentre ha strappato qualche nomina governativa per i suoi fedelissimi rimasti fuori dal Parlamento a febbraio (come il suo braccio destro, Galletti, piazzato all’Ismea), ma la sua parabola politica è innegabilmente in fase discendente.
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