Ha fatto discutere una recente dichiarazione di Massimo D’Alema secondo cui, per evitare il peggio, un accordo sulla giustizia tra maggioranza e opposizione si può trovare.
Ci si riferisce ovviamente al rischio che con il processo breve molti criminali possano averla franca solo per tutelare una persona, il Presidente del Consiglio, a cui farebbe molto comodo approvare una norma come quella sul processo breve. La dichiarazione di per sé, per quanto rilevante, potrebbe fermarsi qui e considerabile come atto politico nel solco della nota linea del male minore che tanto ha animato osservatori e protagonisti (di recente abbiamo ricordato l’esempio dell’astensione dell’Udc sul lodo Alfano, classico esempio di male minore, almeno a detta degli interessati). Ma la dichiarazione dell’ex presidente del consiglio in realtà è collocabile in un contesto per ben più argomentato e specifico come può essere la presentazione di un libro.
Si tratta dell’ultimo lavoro del direttore di RedTV (televisione satellitare di riferimento della fondazione di D’Alema) Francesco Cundari dal titolo “Comunisti immaginari”. Parlando dunque alla presentazione del libro, D’Alema ha quindi dichiarato che in certi casi quelli che sono definiti come “inciuci” sono necessari alla politica in quanto la politica è composta da questo elemento. Un esempio classico di inciucio, secondo il D’Alema-pensiero, è l’accordo che si trovò, in seno all’Assemblea Costituente, riguardo l’articolo 7 della nostra Costituzione. Si tratta di quell’articolo che riconobbe i Patti Lateranensi firmati l’11 febbraio del 1929. In pratica l’articolo che, oltre a riconoscere Stato e Chiesa “ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”, stabiliva che i rapporti tra i due soggetti erano definiti proprio dai Patti del 1929 e che, per modificarli, non occorreva un iter di procedura costituzionale ma solo un accordo tra le due parti. Dal punto di vista politico senza dubbio si tratta di un articolo molto importante. Il Partito Comunista Italiano, dopo parecchie trattative, si convinse a votare a favore compiendo un gesto che in parte riconosceva, oltre alla laicità dello stato, la forte presenza di una popolazione cattolica e un forte peso ad un organo che seppur distinto era punto di riferimento per molti.
Il fatto che D’Alema abbiamo citato proprio questo episodio come modello di “inciucio” ha scosso il mondo politico. Antonio Di Pietro ha dichiarato che non si può paragonare questo tipo di accordo a un probabile futuro accordo sul salvacondotto per Berlusconi (riconoscendo, quindi, lo “status” di inciucio alla vicenda dell’articolo 7). Successivamente la discussione si è quindi spostata sulla contrarietà o meno dell’utilizzo di una forma di accordo su questo punto riguardo il problema giudiziario di Berlusconi, e da qui è giunta la conferma della contrarietà democratica a votare qualsiasi norma ad-personam (Bersani) e l’attacco a qualsiasi forma di inciucio, incapace di produrre effetti positivi (Franceschini).
Che ci sia un problema giustizia in Italia è evidente e che occorre una seria revisione dell’impianto del sistema giustizia italiano è condiviso da più parti. Nonostante tutto negli ultimi anni la discussione sul tema, anziché passare ad un piano di riforma organica della giustizia, permane ad un stadio più arretrato inerente singole norme che quasi tutte hanno la cattiva luce di essere considerate come norme ad-personam per risolvere i problemi giudiziari del presidente del consiglio. Valutata questa ipotesi, è ovvio che il centrodestra consideri prioritarie queste norme che, pur non risolvendo il problema alla base, hanno il “merito” di risolvere un problema subito. Una forma di accordo è quindi percorribile, soprattutto appare necessaria in caso di revisioni costituzionali, ma appaiono in linea di principio impossibili da digerire da parte dell’opposizione.
E qui sta il punto. Perché un “inciucio” di per sé è tale in quanto strumento utile per bypassare ciò che si ritiene non digeribile fino a poco prima. Sarebbe, come direbbe l’imperatore Hirohito, lo strumento adatto per “farci accettare ciò che non è accettabile”. Altra cosa è invece un compromesso, di cui la politica vive. È un accordo quadro, costruttivo, dialettico e soprattutto trasparente che consente, a maggioranza ed opposizione, di creare una legislazione più attenta a tutti i settori sociali (assodato il fatto che, anche dopo la fine delle ideologie, i partiti sono ancora soggetti capace di captare peculiari istanze sociali). Da questo punto di vista non può che apparire fuori luogo un accordo di tipo “inciucistico” sul tema della giustizia. Ma appare ancor di più fuori luogo definire la vicenda dell’articolo 7 della nostra Carta costituzionale, come un esempio di “inciucio”, mentre si tratta di un caso di “compromesso”. Perché si trattò in quel caso di politica alta e non di bassa politica.