Matteo Renzi: “Letta dice che ci vuole il cacciavite, io userei il trapano”. Questa frase riassume meglio di tutte il pensiero di Matteo Renzi su quella che dovrebbe essere l’azione di un governo alle prese con l’attuale situazione del paese.
[ad]Il sindaco di Firenze, intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera, interviene a tutto tondo sulla politica italiana, sia in riferimento al governo Letta, sia, soprattutto, al suo futuro nel Partito democratico.
Si comincia proprio parlando del Partito democratico e, come suo solito, Renzi non le manda a dire: “La nostra gente ci chiede questo: stavolta fateci vincere davvero. Perché noi non abbiamo mai davvero vinto: nel ’96 facemmo la desistenza che provocò poi la caduta di Prodi; nel 2006 arrivammo primi con 24 mila voti mettendo insieme Turigliatto e Mastella, Luxuria e Lamberto Dini; stavolta abbiamo mancato un gol a porta vuota”.
E allora deve essere lui a guidare il partito? “Dipende dal Pd, non da me. Se tiriamo a campare, se ci facciamo dettare l’agenda da Berlusconi, se non riusciamo a fare le riforme, allora…”. E aggiunge: ” Tra sindaco e segretario non c’è incompatibilità. Avere una funzione nazionale sinora ha aiutato a fare meglio il sindaco, ad esempio a trovare i fondi per salvare il Maggio fiorentino. Ora poi l’Europa finanzierà direttamente i Comuni e non solo le Regioni”.
È chiaro che il sindaco si sta scaldando in vista del congresso, consapevole del fatto che i tempi sono cambiati rispetto ai mesi delle primarie, e ora molti big, che prima gli erano invisi, lo sostengono, anche se non apertamente. Prendiamo, ad esempio, Massimo D’Alema, il simbolo della rottamazione: in inverno bersaniano di ferro, ora quasi un renziano, se è vero che, qualche giorno fa, si è rivolto così ad Orfini, suo allievo prediletto: “Vedo che finalmente ci sono giovani turchi che fanno qualcosa di interessante. Peccato che siano a Istanbul”.
Del lìder Maximo il primo cittadino di Firenze dice: “Ammiro il suo humour. Con D’Alema è interessante discutere. Come con Veltroni. Io non rinnego la battaglia per la rottamazione. La rifarei; anche se rinunciare a D’Alema e tenersi Fioroni non è stato un affare”.
Il tema Pd si chiude con Cazzullo che chiede a Renzi se, da segretario, c’è il rischio che possa perdere parte del suo appeal: “Io funziono solo se sono Renzi. Non sarò mai la copia di un funzionario di partito. La questione è un’altra: rimettere l’Italia in gioco, recuperare un pensiero lungo, passare dal Paese del piagnisteo al Paese dell’opportunità”.
Il sindaco entra poi nel merito di alcune scelte del governo Letta, dispensando giudizi non molto lusinghieri: “La prima cosa dovrebbe essere la legge elettorale. Invece vedo che la si vuol mettere per ultima. È sbagliato. Se non si trova un accordo sul sistema elettorale, mi pare difficile che lo si trovi su tutta la riforma dello Stato”. E ancora: “Sento che si parla di saggi, di commissioni. Ma non occorre un saggio per dire ad esempio che la burocrazia italiana è da rifare; te lo dice anche uno scemo. Quando la politica non vuole risolvere le cose, fa una commissione”.
Per continuare la lettura cliccate su “2”
[ad]Nel corso dell’intervista, non poteva mancare un riferimento all’incontro con Briatore e allo stile di Renzi, non propriamente tipico della sinistra tradizionale: “Mi hanno dipinto come un’olgettina perché sono andato ad Arcore da Berlusconi, e ora con Berlusconi hanno fatto un governo.
Mi hanno attaccato perché sono andato dalla De Filippi; dopo di me sono andati don Ciotti e Gino Strada e nessuno ha detto niente. Mi prendono in giro per il giubbotto di pelle, e non sanno che la pelletteria è un settore che tira, in dieci anni ha raddoppiato l’export.
Ora mi attaccano perché ho incontrato Briatore. Io non la penso come lui ma non voglio chiudermi nel mio steccato: per me la politica è una prateria, non una riserva indiana. Questo moralismo senza morale lo trovo insopportabile, questa saccenteria, questa pretesa di superiorità etica è la maledizione della sinistra”.
Chiaro, come sempre.