Beirut tra incertezze e vecchie paure

Pubblicato il 6 Giugno 2013 alle 15:27 Autore: Ilenia Buioni

Un’arena priva di regole

Ci troviamo ad una manciata di kilometri ad est di Beirut, tra  le verdi vallate della Beqā’: poco distanti i templi di epoca romana, superba ribalta di un festival che per anni ha ospitato artisti e poeti internazionali. È un Libano che in ogni angolo si riveste della sua storia – mestamente complicata – dove persino un “ritaglio” del Patrimonio dell’Umanità ha imparato a convivere con l’ala militare di Hezbollah.

[ad]I guerriglieri sciiti hanno impiantato una roccaforte proprio nel distretto di Baalbek, che oggi si mostra indebolita dagli scontri che per lunghi giorni hanno contrapposto i sostenitori di Bashar al-Assad (alawiti) e gli oppositori del regime siriano (sunniti). Sotto il frastuono dei bombardamenti d’artiglieria, il cielo della vallata della Beqā’ si è infiammato dei razzi lanciati dalla Siria: le notizie riferite dal quotidiano libanese The Daily Star evocano il sapore amaro della rappresaglia giustificata (come se si potesse giustificare qualcosa di ingiustificabile) dalla partecipazione del Partito di Dio alla battaglia per il controllo di Qusayr, cittadina della provincia siriana di Homs.

Le dichiarazioni del segretario del Partito di Dio, Sayyed Hassan Nasrallah – convinto a proseguire la propria azione contro i ribelli sunniti in favore del Presidente al-Assad – contribuiscono a rafforzare uno storico e (sempre meno) ideale fil rouge tra i due paesi, anticipando il rischio degli scongiurati spillover effects della crisi bellica siriana in territorio libanese. Se fino a poche settimane fa il Paese dei cedri riusciva ancora a proteggersi dalla luce riflessa dalla guerra contigua, l’escalation di violenza che si è ultimamente abbattuta su varie aree del paese va a potenziare l’avvilente bilancio delle vittime libanesi di una guerra straniera. Una realtà confermata dalla nota lapidaria del Presidente, il Generale Michel Suleiman, per il quale gli scontri che hanno colpito Tripoli, la regione di Baalbeck e il distretto di Akkar  sono stati “il campo in cui si combatte un conflitto che non ci riguarda” (The Daily Star).

Mentre coglie di sorpresa il nuovo comunicato della televisione di stato siriana che Qusayr sia tornata sotto il pieno controllo di Damasco (il che comporterebbe un indubbio successo anche per le truppe di Hezbollah), le scelte militari e politiche dei miliziani sciiti spaccano l’opinione pubblica libanese.

Anche la diplomazia statunitense esterna la propria costernazione, non esitando a qualificare come “irresponsabile” la condotta dei miliziani che rischia di minare alla radice la dissociazione politica di Beirut. E anche a voler riconoscere che il Presidente Obama si sia assestato su una posizione più defilata del suo predecessore alla Casa Bianca, il Governo di Washington  esprime il più vivo “apprezzamento per  il Presidente e il popolo libanese, che continuano a mantenere aperte le frontiere per l’ingresso dei rifugiati dalla Siria” (Global Post).

 

Il palcoscenico di una guerra aliena

Risuonano minacciose le parole del Free Syrian Army dell’opposizione, deciso a “cacciare all’inferno i militanti di Hezbollah, se quest’ultimo non provvederà a ritirarli dal suolo siriano” (The Washington Post): su un Libano inerme spira il vento di una guerra da combattere pour les autres, così vicina che sembra adesso irrompere senza controllo, portando con sé i veloci fotogrammi di un pellicola già vista, le istantanee di un Paese che simula un’unità nazionale dispersa, come già al tempo della Guerra Civile.

Eppure è la prima volta che il Parlamento decide di rinviare di ben diciassette mesi  le  elezioni politiche in programma per il 16 Giugno 2013, non senza un briciolo di disappunto da parte  del Presidente maronita Suleiman, il cui mandato scadrà esattamente in Maggio 2014.  La crisi libanese si protrae da tempo: il governo guidato dal sunnita Najib Miqati aveva rassegnato le dimissioni alla fine di Marzo e i falliti esperimenti di creazione di un nuovo esecutivo fanno da cornice al disincanto del Premier incaricato Tammam Salam.

Sullo sfondo dell’attuale stallo politico si staglia la decadenza siriana: è l’incertezza ad animare le tensioni che percorrono il tessuto sociale e confessionale del Paese dei cedri.  Tra le acclamazioni dei fedeli al regime assadiano e i richiami di coloro che sostengono strenuamente l’opposizione, il cammino della conciliazione appare ancora distante.

Al di sopra delle fazioni contrapposte si è levato il rimprovero del Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, che ha esortato vanamente gli esponenti della politica libanese a pervenire ad una legge elettorale condivisa, proprio ora che le contingenze politiche si trasformano nel banco di prova della democrazia.

Specialmente gli Stati Uniti – che collaboravano con le autorità nazionali libanesi al fine di consentire il regolare svolgimento delle elezioni – mostrano una viva delusione per il rinvio delle politiche. Ad esprimersi è  stato il portavoce Jen Psaki  (The Guardian).

Anche l’Unione europea, con un accento di amarezza, invita i partiti a risanare le divergenze, mirando ad una co-decisione sulla riforma della legge elettorale. Sarà questa la regia che preparerà l’instaurazione di un nuovo Governo il prima possibile, così da guidare il paese fuori  dell’impasse che lo avvolge e recuperare la fiducia dei cittadini nei principi della democrazia (Ansamed).

Decisamente più rassicuranti appaiono i toni utilizzati dal premier Tammam Salam, certo che  “nel paese vi sia un  minimo di stabilità e di legalità. Ma è quanto basta per difendere il Libano e perché (la classe politica) prosegua nel suo esercizio delle funzioni democratiche” (Reuters).

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