Verrà un giorno in cui le primarie…
Verrà un giorno…
Verrà un giorno in cui forse, in qualche aula universitaria, si analizzerà al meglio e senza pregiudizi il fenomeno delle primarie in Italia.
Probabilmente sarà, quella in cui si discuterà di questo tema, una lezione molto partecipata. Lezione partecipata in quanto considerato tema complesso e, perché no, probabile domanda a trabocchetto di qualche professore in sede d’esame.
Apparirà difficile il tema per il semplice fatto che la realtà delle primarie in Italia, almeno cosi come la conosciamo negli ultimi dieci anni, è effettivamente una questione complessa. In primo luogo perché si tratta di un tema non disciplinato e non regolamentato a livello nazionale.
Se infatti le primarie negli Stati Uniti sono fenomeno che, oltre ad essere secolare, è disciplinato con apposite norme (non solo i democratici e i repubblicani le utilizzano, ma pure indipendenti, verdi e altri partiti minuscoli sono costretti a farle) sono anche pochissimi i casi della storia in cui un candidato alle presidenziali non sia passato attraverso le forche caudine del voto popolare (l’ultimo caso è il candidato indipendente Ross Perot, l’uomo che tentò di scalfire l’immortale sistema bipartitico made in Usa).
La realtà europea è senza dubbio radicalmente diversa da quella statunitense (nata proprio all’insegna della partecipazione politica, dei comitati di quartiere e della febbrile attesa di elezioni per ogni incarico e grado) ma l’allargamento della partecipazione politica che i partiti estendono ad altri soggetti non necessariamente iscritti al quel partito (in particolar modo per gli incarichi monocratici ed amministrativi) è un fenomeno abbastanza diffuso.
Grande rischio di questa realtà di partecipazione politica sta nella possibilità di abusare dello strumento delle primarie e nel rischio opposto di un sua non-utilizzazione con conseguente maggior distaccamento tra “classe politica” e “cittadini”. Il tutto proprio perché si tratta di un istituto non regolamentato che quindi deve essere usato a seconda delle circostanze (un altro esempio può essere il “governo ombra” che è praticamente legge nel Regno Unito mentre le esperienze italiane, entrambe di scarso successo, si dovevano regolare solo sulla prassi).
Insomma il tema apparirà a tutti gli studenti un “gran casino”.
Per questo è possibile che qualche fanciulla alle prime file dell’aula, sapendo di farsi portavoce della “vox populi”, faccia l’inevitabile domanda: “Professore, ci può fare un esempio su come e quando senza dubbio un partito politico dovrebbe convocare un’elezione primaria?”.
Ebbene, è plausibile che il professore risponda in modo laconico nella maniera seguente: “Puglia 2010”.
Assodato il fatto che gran parte del dibattito congressuale all’interno del Partito Democratico si è basato sulla “forma partito” e quindi sull’utilizzo dell’istituto delle primarie per eleggere segretario nazionale e segretari regionali, era opinione diffusa di tutte e tre le mozioni congressuali che comunque le primarie andavano fatte per eleggere sindaci, presidenti di circoscrizione, presidenti di provincia e di regione (tralascio il dibattito che si è sviluppato sull’elezione del candidato premier per due ragioni: 1)perché formalmente non si tratta di incarico monocratico eletto dal popolo 2)perché il dibattito nel Pd, e la discussione sullo statuto, trattava anche della possibilità di candidare il segretario del Pd alla guida del governo).
Già queste argomentazioni sono di una chiarezza allucinante che lasciano ben poco spazio ai dubbi.
Nonostante tutto è normale che possano esserci delle eccezioni. Quelle eccezioni che non fanno testo negli Stati Uniti d’America e che vedono, nel 99% dei casi, presidenti degli Stati Uniti in carica che, per correre per un secondo mandato, sono comunque costretti a concorrere alle primarie pur essendo candidati unici. Infatti se un sindaco, un presidente di provincia o di regione italiano viene considerato senza dubbio molto bravo e quindi meritevole di un secondo mandato, si possono ben risparmiare i soldi e il tempo per organizzare primarie di coalizione che vedrebbero in ogni caso un singolo candidato costretto a sorbirsi una forma di plebiscito.
Ma se parliamo di un incarico monocratico (già di per se meritevole di primarie) su cui non si trova una quadra tra partiti alleati, allora le primarie possono apparire veramente come la soluzione definitiva per costituire uno schieramento unito e con un candidato legittimato.
Puglia 2010, appunto. Il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, dopo aver governato per cinque anni, è desideroso di ricandidarsi per un secondo mandato.
Ma su di lui ci sono dei dubbi, in particolare da parte del Pd che, desideroso di un’alleanza con l’Udc, vorrebbe scaricare Vendola per qualcun altro. Dopo che si è tentato di appoggiare la candidatura di Michele Emiliano spunta quella del giovane economista Francesco Boccia (già sconfitto alle primarie di coalizione per la presidenza regionale nel 2005 proprio da Nichi Vendola) appoggiata comunque dal Pd e dell’Udc, al patto di chiarire al più presto fin dove si estende lo schieramento che lo appoggia. A differenza del Lazio quindi, dove fino a poco tempo fa il centrosinistra non aveva alcun candidato da contrapporre a Renata Polverini, in Puglia vi sono due agguerriti contendenti.
Nichi Vendola ha commesso a mio parere dei notevoli errori politici a livello regionale e scelte condivisibili fino ad un certo punto a livello nazionale. Ma la situazione appare chiara: già il fatto che i due candidati in campo per il centrosinistra siano gli stessi che cinque anni fa giustamente si sfidarono alle primarie, testimonia che in casi di dissidio interno ad un’alleanza appare quanto mai necessaria la convocazione di una primaria di coalizione che definisca il vincitore. Se i cittadini di centrosinistra in Puglia considereranno l’operato di Vendola non del tutto soddisfacente, premieranno Boccia. In caso contrario, se considereranno giusta e legittima l’aspirazione del governatore pugliese di correre per un secondo mandato premieranno proprio Nichi Vendola. L’Udc se ci tiene tanto si inserisca nella contesa di coalizione, e faccia di tutto per far vincere il blairiano Boccia a scapito del governatore uscente.
La cosa peggiore a questa pur chiara situazione sarebbe il tentennamento, una finta incomprensione da parte del Pd della situazione esistente pur di evitare un’elezione primaria che rischia di portare ad un esito desiderato fino ad un certo punto.
Questo atteggiamento senza dubbio apparirebbe il peggiore.
E anche il più difficile da spiegare alla graziosa fanciulla con la mano alzata.