La lunga marcia comunicativa verso le elezioni regionali
La macchina comunicativa del centrodestra schiera i propri reparti regionali. Anche se tutti sappiamo che quello del 28 e 29 marzo sarà soprattutto un importante test nazionale (come da sempre accade alle elezioni regionali, incluso l’ormai “epico” 12-2 del 2005).
Ma che tutti e due gli schieramenti diano un importante valore a questo test elettorale non è chiaro soltanto guardando la storia delle varie partite regionali, bensì anche da come si sta muovendo in questo periodo la grande macchina comunicativa che in Italia, come sappiamo, “simpatizza” per l’attuale governo, sia per le note vicende legate al più grande network televisivo privato nazionale sia per l’ormai anacronistico sistema dello spoil system del sistema radio-televisivo nazionale che avvantaggia sempre (e ribadisco sempre) il governo in carica.
Due elementi possono aiutare a comprendere l’aria che si respira attorno all’attesa del voto ed a capire al meglio come si organizzerà la campagna elettorale dei partiti e dei vari candidati.
1. In primo luogo è molto utile notare come il sistema mediatico si sta occupando del rebus candidature. Senza dubbio per molti giornali l’argomento è qualcosa di molto ghiotto, che consente di riempire pagine e pagine con dietrologie, presunti incontri di vertice, accordi, accordicchi e, perché no, probabili futuri scenari per il livello nazionale (da questo punto di vista è degna di lode, almeno in quanto teoria esplicitata, la definizione del “Corollario alla dottrina di D’Alema” secondo cui la Puglia deve diventare il laboratorio per il nuovo centro-sinistra, col trattino, nazionale). Ma la discussione oggettiva sulle dinamiche interne agli schieramenti spesso risente di questa sovra-esposizione mediatica: i telegiornali si occupano delle beghe interne al centrosinistra specialmente legate al caso Puglia (che però si dovrebbe avviare verso una soluzione grazie alle sacrosante primarie previste per il 24 gennaio) dipingendo il quadro di un centrosinistra diviso e di un Partito Democratico che secondo i media rifiuta, quando sarebbero necessarie, l’opzione delle primarie, mentre, un attimo dopo aver scelto di convocarle, appare come un partito che utilizza proprio questo strumento in quanto incapace di prendere una decisione chiara.
La Puglia appunto. I media nazionali si interessano, sempre a proposito di questa regione, molto meno a ciò che sta accadendo nell’altro schieramento. È verissimo che dalle primarie pugliesi dipende anche il posizionamento dell’Udc, e ciò rende le beghe del Pd ben più interessanti, ma è anche vero che spesso si tace di fronte alla paralisi del centrodestra.
Chi sarà il candidato del Pdl alla presidenza della Regione Puglia? Alcuni sostengono tal Palese, altri Distaso. Sembra tramontata la candidatura dell’ex magistrato Dambruoso, mentre l’ex governatore Fitto svolge ancora un ruolo da “king-maker” mettendo veti sulla Poli Bortone (leader del movimento “Io Sud”) paventando un “rischio” candidatura del sottosegretario Alfredo Mantovano, con ripercussioni su governo, sottogoverno e Santanchè varie.
Possiamo quindi ben dire che in Puglia la discussione interna al centrodestra è più caotica e anarchica di quella del centrosinistra. Ed anche più “elitaria”.
Stessa cosa accade un po’ nelle altre regioni: se escludiamo il caso del Lazio, dove lo stallo del Pd è stato superato solo grazie alla candidatura esterna ed autorevole di Emma Bonino, e che vede Renata Polverini candidata da dicembre per il Pdl, nel resto d’Italia la situazione non è rosea per centrodestra.
In Toscana ancora non conosciamo l’uomo che avrà il coraggio di sfidare l’assessore regionale alla sanità Enrico Rossi. Se in Umbria il Pd risulta avere problemi procedurali e statutari, a destra non emerge una reale alternativa (eppure il voto europeo del 2009 ha dato una certa responsabilità al Pdl in questa regione); nella Marche il candidato Spacca si bea di un accordo già siglato con l’Udc e di una lista per il consiglio regionale del Pd già pronta e limata dall’esperto segretario regionale Palmiro Ucchielli mentre nel centrodestra il candidato non esiste.
Per non parlare poi di Piemonte e Veneto, le due regioni “spettanti” alla Lega Nord: i portavoce del federalismo italiano hanno candidato, senza alcuna consultazione col territorio, un ministro e un capogruppo alla Camera dei Deputati. Due nomi tra l’altro sui cui si è giunti ad un accordo nelle solite cene di Arcore del lunedì sera. Se questo è federalismo.
2. In secondo luogo è sintomatica una recente affermazione del ministro Roberto Calderoli in merito alle elezioni regionali “Non potremo mai schierarci con chi candida comunisti ed abortisti”.
Da questa affermazione emerge quella è che la quintessenza della propaganda berlusconiana: semplificare fino all’osso i termini della contesa e dipingere un nemico immaginario (questo è l’unico paese al mondo che parla ancora di minaccia comunista mentre la disoccupazione si appresta ad arrivare al 10% e la borsa risente ancora della crisi economica e finanziaria). L’avversario è dunque, anche a livello più pacificamente regionale, un probabile pericolo per la società e per la “moralità dei costumi”. È come se, dall’altra parte, si dicesse che non si possono consegnare Piemonte e Veneto a chi pratica matrimoni celtici.
Sarà quindi una campagna elettorale dura. Non solo per il clima che si respira in Italia. Ma soprattutto perché il centrodestra ha capito e preso consapevolezza dell’importanza di questo test elettorale. E quando il premier comprende che “a lui conviene non perdere queste elezioni” beh, allora ci si può aspettare di tutto.
LIVIO RICCIARDELLI è un estimatore di politica e cinema (soprattutto di Adone Zoli e Sergio Leone). È passato indenne dai forum di Politica On Line e da molto tempo cura il blog l’Asino.
Inizia oggi la sua collaborazione come editorialista di cronaca politica con Termometro Politico.