Il ritorno di Bersani
C’è chi lo aveva dato per politicamente morto, Pierluigi Bersani. Dopo la mastodontica serie di sciagure inanellate a partire da quel fatidico week end di fine febbraio, drammatico epilogo di una disastrosa camagna elettorale, dopo le umiliazioni via streaming subite dal duo Crimi-Lombardi, il Pd che si sfaceva nelle sue mille anime e correnti nel delicatissimo momento di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, il segretario Pd sembrava essere ormai un dead-man walking, da spedire in fretta e furia nel dimenticatoio della politica, a far compagnia alla lunga serie di leader più o meno falliti partoriti dal centrosinistra negli ultimi vent’anni.
[ad]Il saluto del neopremier Enrico Letta durante il suo discorso di presentazione alla Camera rivolto proprio a Bersani parve un autentico “necrologio politico” per l’ex segretario: la scena di una Camera dei Deputati che significativamente, con un lungo applauso, tributava l’onore delle armi all’ex leader, sfinito e quasi in lacrime, sanciva, almeno apparentemente, la fine della sua parabola politica. Da allora, per quasi tre mesi, di Bersani si sono perse le tracce: nessuna intervista a giornali o televisioni, poco attivo nei corridoi di Montecitorio, i bersaniani di ferro messi in seconda fila dai ruspanti renziani e dagli uomini del clan Letta, veri dominus del nuovo Pd di larghe intese.
E invece. E invece altro che rottamato, altro che politicamente morto: era tutta strategia. I numerosi ed innegabili passi falsi di Bersani, sia in campagna elettorale che nel drammatico periodo post-voto, non sembrano aver scalfito la sua voglia di guidare il Partito Democratico: l’ex segretario ha così colto l’occasione al volo, prendendosi il merito (quanto mai dubbio) dell’innegabile ripresa del PD alle ultime elezioni amministrative, e derubricando la sconfitta di febbraio al malcontento prodotto dalle politiche di austerity di Monti ed alla forza dell’antipolitica grillina.
Le avvisaglie del gran ritorno si erano già avute all’Assemblea nazionale del Pd, quando era stato eletto come segretario “traghettatore” del partito Guglielmo Epifani, uomo vicino all’ex governatore emiliano. Figura di garanzia, sì, ma in continuità con la gestione Bersani: e non è certo un caso che Epifani abbia preso dirette indicazioni dall’ex segretario sulle nomine per le partecipazioni statali, né che abbia costruito una frammentata segreteria espressione delle mille correnti Pd, ma in cui i “bersaniani” rappresentano la maggioranza ed in cui la fondamentale delega all’organizzazione, centrale per il controllo del partito, è andata proprio ad un bersaniano di ferro (uno dei pochi che non lo ha mollato dopo le dimissioni) come Davide Zoggia. Insomma, lo smacchiatore di Bettola si prepara ad una nuova guerra, e su due fronti: per la guida del Pd e per quella del governo.
Nel partito la nuova battaglia è contro il vecchio avversario: il nemico numero uno è sempre quel Matteo Renzi, già battuto nelle primarie di novembre, che oggi appare però molto più forte e legittimato come unica figura in grado di risollevare le sorti del Pd. Bersani e i suoi non ci stanno: il documento “Fare il Pd”, firmato da uomini vicini all’ex segretario e visto da molti come una dichiarazione di guerra precongressuale, rappresenta un autentico attacco al renzismo ed alla sua idea di Paese e di partito; d’altro canto lo stesso Bersani, in un’intervista a Repubblica, ha dichiarato che “farà di tutto per evitare che il Pd diventi un partito personalistico” ed un secco “no a uomini soli al comando”: il polemico riferimento, quanto mai palese, è proprio diretto al Sindaco di Firenze. Sul fronte del governo, se Bersani promette da un lato lealtà ad Enrico Letta, non ha abbandonato il sogno del governo di cambiamento della sinistra, che in caso di fine delle larghe intese tornerebbe sul tavolo: sostenuto da quali voti, visto che i numeri sono sempre quelli (a meno di una spaccatura definitiva nel Movimento Cinque Stelle), non si sa.
Insomma, nonostante i numerosi harakiri politici degli ultimi mesi, Bersani sembra non avere nessuna intenzione di tirarsi indietro, con buona pace di chi ne aveva salutato il ritiro come “gesto di umiltà e responsabilità politica”. Il potere logora chi non ce l’ha, e fa gola a chi lo vorrebbe avere.