Uccidere il padre
Finalmente il centrodestra si trova nella situazione paventata e negata per almeno 15 anni, quello di dover emanciparsi dalla figura di Silvio Berlusconi, in un certo senso staccarsi dalla sua ala, ucciderlo non tanto politicamente ma sentimentalmente e ideologicamente, per andare avanti e interpretare le stesse istanze, gli stessi settori della società che le coalizioni da lui guidate hanno rappresentato in questi anni.
Innanzitutto meglio sottolineare che questa situazione è a prescindere dalla scadenza del governo se in quella naturale del 2013 o prima. La maggioranza è decisa fermamente ad arrivare al 2013, perchè ormai il rispetto delle scadenze naturali e la stabilità del governo costituiscono uno degli asset su cui il centrodestra punta nel confronto con il centrosinistra. E ancora di più è un punto fermo contraddire la litania di richieste di dimissioni che vengono da tutto l’establishment anche imprenditoriale ed editoriale, visto anche che un altro asset storico del centrodestra è quello di essere estraneo a quel insieme di istituzioni economico-instituzionali, banche, giornali e grandi imprese, ovviamente sindacati, solitamente dipinti come “poteri forti”.
In ogni caso ora è arrivato il momento in cui un cambio nel centrodestra è ritenuto necessario ed accettato da tutti, in modo più o meno esplicito, prima di tutto dallo stesso Berlusconi, che appare ancora indeciso solo sul modo di fare il grande passo e con tutta probabilità sceglierà un ultimo guizzo di spettacolarità, per rendere il “beau geste” simbolico e storico, come fu per il predellino nel dicembre 2007. Un ultimo show che dovrà anche servire a lanciare il pupillo prediletto, Alfano.
In realtà lo stesso Alfano sa che sarà difficile imporsi solo per la benedizione di Berlusconi e che senza di lui il PDL non potrà più sottrarsi a quel confronto democratico tipico di un grande e variegato partito, infatti si è espresso a favore delle primarie più volte. Proprio le primarie e la successiva campagna elettorale, però, avranno il pregio di essere finalmente, per forza di cose, fondate sui contenuti più che sulla persona, sui differenti modi di vedere l’intervento statale e della politica nella società, sullo scontro tra tendenze settentrionalistiche (Tremonti e Formigoni?) e meridionalistiche (Alfano e Alemanno?), liberalismo e mercatismo.
Dopo Berlusconi non sarà più possibile basarsi sul “fascino” della personalità di un candidato, e soprattutto non sarà più possibile per il centrosinistra utilizzare le caratteristiche personali del candidato di centrodestra (tratteggiate in negativo naturalmente) come arma da utilizzare contro di lui. In realtà già da diverse elezioni il voto al centrodestra non era più veramente motivato da una sorta di “attrazione” verso la figura di Berlusconi, sicuramente non più di quanto il voto al centrosinistra fosse spinto da una avversione al cavaliere stesso, quanto invece da una adesione più o meno generica ad una visione ideologica conservatrice, di opposizione a tutto ciò che sa di sinistra, ad alcune collateralità e convenienze economiche di determinati settori e corporazioni.
Il trionfo dei contenuti produrrà anche l’effetto sperato di una riunificazione dell’area moderata-conservatrice italiana, strutturalmente maggioritaria, che sempre più è andata dividendosi dal 2000 in avanti: dopo una operazione di assorbimento di elettori di centro pattisti e popolari tra il 1994 e il 2000, si è consolidata e dopo il 2008 è aumentata la quota di elettori di centro e moderati che non votavano il centrodestra “ufficiale” ma la margherita e soprattutto dopo il 2008 l’UDC, e spesso così facevano solo ed esclusivamente per la presenza di Berlusconi, tra l’altro vanificando quello che fu il “miracolo” del 2006, ovvero la sostituzione delle perdite di voto diciamo personalistico e ammirativo verso Forza Italia con un uguale guadagno di voto conservatore e cattolico verso AN e UDC che prescindeva la figura di Berlusconi ma era più culturale e di opinione e consisteva anche di voto nuovo, un guadagno di elettori cattolici impegnati della Margherita dopo le campagne sulla fecondazione assistita e il laicismo.
Una ricomposizione di quest’area è indispensabile e fatale nel medio periodo anche alla luce delle posizioni chiare quanto inevitabili espresse dalla CEI sul comportamento di Berlusconi. E’ evidente che quegli spezzoni di società rappresentanti associazionismo cattolico, o imprenditoria e artigiani, che si rivolgono ora ini modo naturale e inevitabile al Terzo Polo, spostano voti, che per quanto pochi, per quanto meno di quello editoriali dei grandi giornali lasciano intuire, fanno pur sempre la differenza con il centrosinistra, che potrà vincere in una corsa a tre anche se a livelli decisamente inferiori di quelli del 2005 e 2006 e solo poco superiori al 2008 (quando era diviso).
Per questo urge, nel prossimo anno e mezzo al massimo, scegliere senza troppo spargimento di sangue una nuova leadership, che sia il meno personalistica possibile, che lasci a bocca asciutta giornali e ricercatori di scandali, scandaletti, e retroscena, una figura che come un tempo i segretari DC non possa coprire il partito o i partiti stessi che rappresenta, le loro idee e la proposta di società che portano. Alfano sembra il più adatto a questo ruolo.
L’enfasi sui contenuti verrà poi da sola, così come l’esigenza naturale alla ricomposizione con buona parte del Terzo Polo e la riunificazione di quell’elettorato moderato, nelle sue mille accezioni (nazionalista, liberale, cattolico, conservatore, riformista), innaturalmente diviso da troppo tempo.