M5s al bivio. Cresce la fronda anti-Grillo. Cosa vuol fare il MoVimento da grande?
Un’onda montante che rischia di travolgere il fortino a 5 stelle di Beppe Grillo. Dietro le dichiarazioni ufficiali a difesa del leader sembra prendere sempre maggior vigore il coro di chi, all’interno dei gruppi parlamentari e tra la base degli iscritti e dei semplici simpatizzanti, chiede con insistenza un passo indietro del grande capo. La deludente performance del M5S all’ultima tornata di elezioni amministrative ha dato definitivamente la stura alle polemiche e alle critiche. Il dissenso interno è ormai fuori controllo e, nonostante le esternazioni più o meno di facciata a difesa del fondatore – tra cui quella di ieri del nuovo capogruppo alla Camera Riccardo Nuti che ha identificato l’esistenza stessa del MoVimento con la persona e l’azione di Grillo (“Beppe è il M5S e il M5S è Beppe”) – s’ingrossa giorno dopo giorno il drappello di portavoci disposti a ragionare di possibili exit strategy dal campo del MoVimento..
[ad]Dopo la fuoriuscita dei due deputati tarantini, Furnari e Labriola, passati al gruppo misto la scorsa settimana, ieri il diktat del comico genovese ha colpito la senatrice Adele Gambaro rea , nel corso di un’ intervista a Sky, di aver imputato a Grillo il tonfo elettorale alle comunali, addebitando alla comunicazione e agli strali contro il Parlamento del capo politico dei penta stellati la causa principale della débacle. Non ancora segnate appaiono, però, le sorti della Gambaro perché un eventuale provvedimento d’espulsione potrebbe produrre l’effetto indesiderato per i vertici del MoVimento di esasperare ancor di più i toni e allargare l’area del dissenso pronta alla fronda. A dar manforte alla senatrice oggi sono arrivate le parole durissime del collega a Palazzo Madama Bartolomeo Pepe.
Per il senatore campano il M5S è destinato “all’autodistruzione nel giro di una legislatura perché eccessivamente Grillo-dipendente”. La soluzione meno traumatica e caldeggiata dallo stesso Grillo e dal capo della comunicazione Messora è, adesso, quella delle dimissioni volontarie della senatrice ribelle e degli eventuali ulteriori insorti, poiché “è naturale– ha avvertito sul suo blog il lider maximo genovese – che un parlamentare, nel caso in cui non fosse più in sintonia con il M5S, con i suoi principi, e con la sua base che l’ha eletto, si debba semplicemente dimettere”. In perfetto stile prima Repubblica e come nei tanto vituperati partiti “morti” travolti dal boom a 5 stelle di febbraio anche il MoVimento sente correre sul proprio corpo il brivido della guerra intestina, della divisione per bande e fazioni, della contrapposizione tra falchi e fedelissimi del capo (gli ex capigruppo Crimi e Lombardi, lo stesso Nuti e il sempre presente Di Battista) da un lato, e le colombe, sponsor di un atteggiamento più morbido e tollerante nei confronti degli “eretici” e disponibili all’apertura di un dialogo programmatico e strategico a sinistra, e con il Pd in particolare, dall’altro.
Sta tutto qui il nodo decisivo su cui si gioca l’incerto destino politico del M5S. La linea di rottura di una possibile scissione è quella che conduce al bivio tra il mantenimento dell’arroccamento del MoVimento (ritenuto da molti militanti ed eletti la causa principale della sconfitta nelle città al voto ), e la rinuncia alla preclusione a qualsiasi tipo di collaborazione con le altre forze politiche parlamentari, con le quali i pentastellati sono, invece, chiamati a collaborare per poter lasciare segni tangibili, pur se da posizioni di opposizione al governo delle larghe intese, sulle sorti dell’anomala legislatura in corso.