Dalla crisi di governo dello scorso agosto, la Lega si è unita a Fratelli d’Italia e Forza Italia tra le fila dell’opposizione, lasciando campo libero al Partito Democratico e Liberi e Uguali (e poi a Italia Viva) di insediarsi ai banchi dell’esecutivo. Fino a quel momento, però, nonostante il Carroccio sostenesse un’alleanza con il Movimento Cinque Stelle nata con la firma del contratto di governo, l’asse del centrodestra è rimasto sostanzialmente invariato sia per le elezioni nazionali che per le consultazioni locali; alle ultime politiche, la coalizione si è presentata compatta seppur con un candidato premier per ogni partito.
Ma in ogni caso c’era la consapevolezza della necessità, per loro, dell’unità: sarebbe sfumata altrimenti ogni possibilità di poter entrare a Palazzo Chigi. Conclusasi la legislatura che vide nel 2011 l’avvento del governo tecnico di Mario Monti, nel 2013 la legge elettorale scritta dall’ex ministro Roberto Calderoli non ha facilitato l’inizio di un nuovo esecutivo: l’Italia e il resto del mondo sono rimaste col fiato sospeso fino ad aprile inoltrato con il giuramento del governo Letta, seguito poi l’anno successivo dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi, per poi concludersi nel 2018 con Paolo Gentiloni alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, tutti e tre sostenuti dal centrosinistra.
Sempre nel 2018, alle ultime elezioni nazionali, l’instabilità dei risultati ha tenuto banco per circa tre mesi, durante i quali nessun partito e nessuna coalizione presentava la forza necessaria per poter governare. C’era vicino il centrodestra, ma per un pugno di voti non è riuscito a conquistare il numero minimo dei seggi per poter vantare la maggioranza; ma se Atene piange, Sparta non ride: l’alleanza a guida Partito Democratico si è trovata in gran difficoltà per i voti sottrati dai pentastellati.
Alla fine, pur se nessuno sembrava essere disposto a scendere a compromessi, i Cinque Stelle si sono alleati con la Lega e, dopo un travagliato compromesso, il Governo Conte ha visto la luce a Giugno, per poi mutare la propria composizione verso la fine dello scorso anno con l’ingresso a gamba tesa dei partiti di centrosinistra e di sinistra. Quest’uscita repentina di Salvini dalla maggioranza sembrava una mossa per guadagnare terreno rispetto all’ex alleato di governo, sfruttando la crisi dell’esecutivo ed eventuali nuove elezioni autunnali attraverso le quali imbastire un nuovo governo, ma questa volta di centrodestra.
Anche se, alla fine, non si sono tenute, pare chiaro che a reggere il timone del centrodestra sia via Bellerio forte dei responsi dei sondaggi che danno la Lega in testa, non solo nell’alleanza ma come partito a livello nazionale; a seguire, il Partito Democratico e poi il Movimento Cinque Stelle, insinuato da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni: la distanza tra i due partiti è pressoché nullo, poco più di un punto e mezzo percentuale. Forza Italia si assesta in terza posizione. Se il partito di Silvio Berlusconi funge come catalizzatore dei voti dei moderati e dei centristi, a spartirsi il piatto dell’elettorato più consistente sono Lega e FdI: il ceto medio, gli operai e gli artigiani rimangono appannaggio del partito di Matteo Salvini, la cui leadership non è posta in discussione – come poteva sembrare – dal governatore del Veneto Luca Zaia; la Lega, infatti, non è mai venuta meno a considerare proprie tematiche quelle delle piccole realtà imprenditoriali e del ceto che un tempo veniva definito proletario, un’ala del Carroccio degli albori fu proprio quella dei Comunisti Padani, cui in giovinezza Salvini militò.
La Lega non è monolitica e come s’intende comprende in sé diverse anime. Oggi quelle che prevalgono sono quella salviniana, che cerca di abbracciare il più possibile diversi tipi di elettori, pur focalizzandosi sul tema della libertà, e poi altro grande protagonista – pur lavorando per lo più nell’ombra – rimane Giancarlo Giorgetti, di formazione neocon, senza dimenticarsi di Luca Zaia, dell’ala libertaria e liberista. Con Matteo Salvini la Lega ha iniziato ad intraprendere un percorso di mutamento radicale al proprio interno, non ancora concluso, che la porterà ad essere il nuovo partito della destra italiana, dalle sembianze simili a quelle del Partito Repubblicano statunitense (non è un mistero che il Carroccio stia ammiccando, politicamente e graficamente, al GOP); l’unico grande ostacolo per la realizzazione dell’elefante rosso italiano rimane la presenza di Fratelli d’Italia, partito geloso della propria indipendenza.
Fondato nel 2012, FdI ottiene la grande vittoria elettorale alle ultime elezioni con l’elezione di Marco Marsilio a presidente dell’Abruzzo, ma Giorgia Meloni, per ora, non ha mai osato intralciare l’avanzata del collega Matteo Salvini a nuovo leader del centrodestra; tra i due partiti c’è collaborazione, è la Lega che, forte degli economisti Alberto Bagnai e Claudio Borghi, propone all’elettorato programma e una linea di azione sul piano tributario e su quello finanziario, FdI d’altro lato punta tutto sulla riforma interna dell’Unione Europea rivedendola come una confederazione demandando a questa solo poche e selezionate competenze, mentre il resto dovrebbe fare ritorno ai singoli stati e alla loro sovranità nazionale. Su quest’ultimo punto le posizioni faticano a collimare: la Lega si presenta ora come partito euroscettico, è fortemente federalista e si fa carico di istanze che nel secolo scorso erano accolte dalla sinistra; viceversa, Fratelli d’Italia non fa mistero della sua posizione unitaria e centralista che dovrebbe assumere il Paese, pur nell’ottica liberista e vicino al mondo imprenditoriale di uno stato sempre meno pervasivo.
Entrambi i partiti costituiscono fronte unico sull’immigrazione e così pure su altre tematiche di stampo etico e bioetico, dall’utero in affitto ai diritti civili; l’altro punto in comune è il richiamo alla tradizione e alla religione cattolica, oltre all’eredità politica popolare, pur deviando dall’ideologia europeista e unionista. Lega e Fratelli d’Italia, in sostanza, stanno raccogliendo il lascito – rivisitato attraverso una prospettiva fortemente nazionale e sovranista – di Forza Italia (movimento che sembra sempre di più destinato all’irrilevanza politica per le defezioni dei suoi parlamentari verso altri lidi e per l’incapacità, negli ultimi anni, di rinnovarsi al proprio interno e di uscire dal solco e dall’ombra del suo fondatore, Silvio Berlusconi, ormai fuori dall’agone politico). E sarà Matteo Salvini nel breve periodo a tenere in mano lo scettro della leadership nel centrodestra: ne è il punto di riferimento. Giorgia Meloni, invece, per ora non è che l’ufficiale in seconda della coalizione, ma è certo che non si accontenterà di una vita da eterna seconda e che, presto o tardi, inizierà a lavorare per sottrarre all’alleato la barra di comando; non le resta che attendere l’inizio della parabola discendente del senatore milanese.