Protezione civile e “birbantelli”
Tutti i giornali nazionali, e anche la stampa internazionale, riempiono le primissime pagine con fiumi di articoli (ed intercettazioni) sul caso del momento: lo scandalo legato agli appalti e alla Protezione Civile. Un intreccio degno di un romanzo romantico francese dell’800 che vede intrecciarsi Protezione Civile, sottosegretari, coordinatori di partito, provveditori e imprenditori in un vortice che giustamente è stato definito “gelatinoso”.
Quasi in contemporanea, il consigliere comunale di Milano Mirko Pennisi, presidente della commissione urbanistica di Palazzo Marino, viene colto in flagrante mentre intasca una tangente. Una storiaccia di tangenti sembra riguardare pure il presidente della Provincia di Vercelli, arrestato proprio in questi giorni.
Alla luce di questi inquietante eventi sorgono nell’opinione pubblica le due seguenti domande: siamo di fronte ad una nuova Tangentopoli? E se sì, sarà la fine di quella che viene definita come “Seconda repubblica”?
Tangentopoli o no (e ha bene illustrato il presidente della Camera Fini la differenza tra un certo tipo di finanziamento nella Prima repubblica e quello attuale, che esiste a fini solo privati) il presidente del Consiglio Berlusconi ha deciso di agire. O almeno, di provarci.
Dopo aver definito le elezioni regionali un test amministrativo, e poi aver cambiato idea definendolo “test nazionale” avendo visto sondaggi non molto favorevoli al centrodestra, ha annunciato di predisporre delle norme anti-corruzione: espediente mediatico per riacquisire consensi e per riappropriarsi di una forma di legalità che a quanto pare s’era smarrita da un pezzo (“rivoglio la politica pulita del ’94” pare abbia esclamato il premier, così come il sottoscritto ha esclamato “rivoglio Adone Zoli” a 50 anni dalla morte dell’eminente statista). Dunque il Consiglio dei ministri doveva approvare questo progetto berlusconiano anti-corrotti che si basava sia su pene più severe per i corrotti sia su una minore possibilità di candidare gente inquisita.
Per realizzare questo grandioso piano sono state fatte le cose in grande: il ministro Alfano, il ministro-ombra Ghedini e la presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno hanno lavorato su questo testo, per rappresentare tutte le anime del Pdl.
Me il Consiglio dei ministri non approva queste norme. “Io stesso ho proposto un rinvio per migliorarla” ha dichiarato il presidente del Consiglio in una delle sue classiche note scritte del sabato; note in cui tra l’altro definiva il problema riguardante lo scandalo appalti un caso che riguarda “solo dei singoli”, come qualche giorno prima aveva dichiarato, a proposito del caso Pennisi, che si trattava solo di “birbantelli” (parafrasando indirettamente Craxi e il “mariuolo” Mario Chiesa, mentre Fëdor Dostoevskij lo avrebbe definito semplicemente un “lestofante”).
Il disegno anti-corruzione probabilmente si arenerà e, anche se approvato dal Consiglio dei ministri, potrebbe finire nel dimenticatoio parlamentare insieme ad altre vittime del bicameralismo perfetto.
Ma dunque, siamo di nuovo di fronte ad una nuova Tangentopoli?
Il fatto che Berlusconi negli ultimi giorni si sia adoperato per combattere la corruzione, secondo me ben rappresenta lo stato delle cose. Sappiamo bene che si tratta di una manovra propagandistica più che realista ed è proprio per questo motivo che probabilmente l’immane lavoro del trio Alfano-Ghedini-Bongiorno sarà inutilizzato.
Nonostante tutto, colpisce la motivazione che il premier, anche per darla in pasto ai giornali, ha utilizzato: “rivoglio la politica pulita del ’94”.
Il 19 gennaio scorso è stato commemorato Bettino Craxi, a dieci anni dalla sua morte. I plenipotenziari del Pdl, tra cui spiccavano ovviamente gli ex socialisti, hanno consacrato con convegni e celebrazioni l’ex presidente del Consiglio come uno dei massimi statisti italiani. Berlusconi, anche se si è rifiutato di intervenire al convegno della Fondazione Craxi in suo onore, oggi come oggi attacca la”magistratura politicizzata” e le terribili “toghe rosse”. Inutile dire che Tangentopoli quindi è stato il “male” e il tentativo da parte della magistratura di rovesciare le fondamenta dello Stato.
Ma com’era questa politica pulita nel 1994?
Il 24 gennaio del 1994 Berlusconi scende in campo e vince le elezioni politiche di marzo. La pensava in maniera differente su Tangentopoli, allora. Non solo per la nota vicenda dell’autorevole ministero dell’Interno che il Cavaliere voleva affidare ad Antonio Di Pietro. E nemmeno per i gridi di giubilo leghisti che, esibendo un cappio a Montecitorio, attaccavano la classe politica corrotta invocando una “piazza pulita”. Come del resto la pensava in maniera differente non solo per la presa di posizione dei suoi futuri alleati della destra, allora missina (“Per noi Di Pietro è meglio di Mussolini”, disse Maurizio Gasparri).
Berlusconi infatti può considerarsi da un certo punto di vista come il primo figlio di Tangentopoli: assodato il fatto che la magistratura è un organo indipendente dello Stato che ha il sacrosanto diritto di lavorare senza interferenze della politica, è ovvio che il forte malcontento popolare nei confronti della classe politica ha fortemente favorito l’uomo di Arcore che, presentandosi come l’uomo nuovo contro i politici di professione, ha avuto modo non solo di sfruttare un vuoto politico che si era delineato a seguito dello scioglimento dei grandi partiti della Prima repubblica, ma anche di acquisire un forte consenso elettorale in chiave anti-sistema. Quel sistema che aveva portato ad una politica corrotta, al finanziamenti illeciti ai partiti ed al tracollo generalizzato che si stava avvertendo già, anche in termini economici.
Oggi si scaglia contro Tangentopoli e contro i giudici considerati “comunisti”. Nel 1994 si scagliava contro quella classe politica che oggi difende e che allora considerava l’origine di ogni male. Insieme a quelli che oggi sono i suoi più stretti alleati di governo.
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