C’è una rivelazione dolente dietro al modo in cui la politica, da destra a sinistra, ha affrontato la questione della possibile esclusione del PDL dalla competizione elettorale in Lazio e di Formigoni in Lombardia: siamo governati per buona parte da irresponsabili. Un’affermazione forte, ne sono conscio, ma a mio avviso giustificata. Si prendano le dichiarazioni di questi giorni. Da un lato si è parlato di “teppismo politico ai limiti dell’eversione” (Margherita Boniver), si è sentito “il sapore di un colpo di Stato” (Francesco Storace) e ci si è detti “pronti a tutto” (Ignazio La Russa). Dall’altro si è evocato il ventennio fascista, fino a giungere, come ha fatto Luigi De Magistris, a ipotizzare che l’Italia non sia più una democrazia plebiscitaria, ma “un regime vero e proprio” in cui un “novello Pinochet in versione profetica” sta “attuando un colpo di Stato” (De Magistris e Storace sulla stessa lunghezza d’onda – chi l’avrebbe detto).
I giornali naturalmente hanno pensato bene di gettare benzina sul fuoco. La prima pagina del Fatto Quotidiano del 5 marzo sembrava un bollettino di guerra: foto del Duce, editoriale di Padellaro che conclude “chiamiamolo fascismo e facciamo prima” e immancabile pezzo di Travaglio intitolato (una coincidenza?) “Forza Mussolini“: proprio “come ai tempi del fascio“. Libero invece da giorni sostiene la opposta tesi del complotto per eliminare Berlusconi. Un “sabotaggio“, una “rapina in corso“, un ladrocinio “di polli e di voti”. Un sempre più allarmato Giampaolo Pansa invita a non stupire se da un giorno all’altro “scoppierà la violenza“.
Insomma, con la consueta dote di sintesi del premier, “è un golpe“. Messo in atto da magistrati “talebani”, “peggio della mafia”, che intendono offrire alla sinistra l’unico assist che abbia la concreta possibilità di tradursi in una vittoria elettorale: eliminare l’avversario dalla competizione. No, realizzato da un governo – ribatte il fronte opposto – che per rimediare alla incredibile incapacità di pochi decide di stravolgere le regole delle elezioni, in barba a ogni buon senso democratico.
Accuse gravi. Perché parlare di “irresponsabilità”, dunque? Perché la politica si è lasciata stritolare dai due corni del dilemma: e cioè come valorizzare il rispetto della legge (primo corno) senza falsare del tutto la competizione elettorale (secondo corno). Di fronte a questa emergenza la politica avrebbe avuto il dovere di reagire con fermezza e compostezza. Fare quello che le è proprio: decidere, senza farsi prendere dal panico. E invece ha strillato, sbraitato, puntato i piedi. Gridato all’eversione, al colpo di Stato, al golpe. Parole che grondano storia e sofferenza, e che non meritano di venire sprecate per questo consesso di adolescenti sull’orlo di una crisi di nervi che di fronte alle difficoltà preferiscono invocare nuovi totalitarismi piuttosto che sedere intorno a un tavolo e discutere.
Questo è il reale problema che affligge oggi il governo della cosa pubblica; un problema che l’informazione cavalca e amplifica per vendere un pugno di copie in più o tenere l’opinione pubblica in quel costante stato di sovraeccitazione che serve per far dimenticare che mentre sarebbe necessario un nuovo modo di concepire l’istruzione, la ricerca, il sistema pensionistico, gli ammortizzatori sociali, il fisco e chi più ne ha ne metta nessuno ha il fegato per fermarsi, pensare e proporre. In un’Italia sconvolta dagli scandali, dalla mediocrità della sua classe dirigente e di chi la racconta, il vero pericolo non è neppure che il linguaggio abbia perso la sua funzione, che la parola non abbia più senso: il vero pericolo è che ancora ce l’abbia. E che a forza di esprimerlo, questo paradossale desiderio di catastrofe si avveri. Prima che a impedirlo intervenga una comune assunzione di responsabilità. E’ di questo che c’è, e subito, bisogno. Non resta che sperare che avvenga.
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