[ad]Una settimana scarsa. Tanto tempo è passato dall’apertura delle urne a Roma per il ballottaggio dal quale è uscito come sindaco Ignazio Marino. Un risultato netto, ammesso dallo stesso Gianni Alemanno durante lo scrutinio. Eppure qualche dato merita di essere analizzato più a fondo, posto che ognuno resta libero di trarre le conclusioni che crede.
Volenti o nolenti, bisogna partire dal dato più eclatante, quello del non-voto, che ha raggiunto livelli davvero impressionanti, quasi imbarazzanti da certi punti di vista. Se il 47,2% degli elettori ha scelto di disertare le urne al primo turno e, addirittura, al ballottaggio ha fatto lo stesso il 55% degli aventi diritto, i sintomi sono davvero pesanti e parlano di un male acuto per la sua gravità, ma ormai cronico per durata ed estensione: se persino per l’elezione del livello di governo più vicino ai cittadini – sia pure in una realtà grande e complessa come Roma – una persona su due non decide (o, se si preferisce, sceglie di non decidere) i segni della mancanza di fiducia in ogni spazio di cambiamento o buona amministrazione sono impossibili da non vedere e vanno ben oltre eventuali considerazioni sulla statura dei singoli candidati in gioco.
Ciò premesso, è vero che – come da più parti si è ricordato nei giorni scorsi – «quando va a votare poco più del 40% degli elettori non si vince». La matematica non mente, per Ignazio Marino al secondo turno ha votato il 28,2% dei romani, poco più di un quarto: è vero che chi sceglie di non far pesare il proprio voto lo fa consapevolmente, ma la percentuale resta piuttosto bassina e il nuovo sindaco di Roma certamente ne dovrà tenere conto, se vorrà cercare di rappresentare anche solo metà dei cittadini, quasi raddoppiando il numero delle persone che in definitiva l’hanno scelto. Per farlo non basterà certo andare al lavoro in bici (e rischiare ogni volta, pure lodevolmente, di essere arrotati): Marino dovrà sentire tante voci e, soprattutto, trovare il modo di riconoscere quelle meritevoli e dare loro attenzione, nei limiti di quanto il buon senso e le casse comunali consentono.
In ogni caso, se Marino al più non ha (stra)vinto, certamente ha perso Alemanno e, con lui, l’intero centrodestra romano, anche se il copione si è ripetuto uguale in tutta l’Italia, come il “cappotto” ai ballottaggi della settimana scorsa ha dimostrato. È stato lo stesso primo cittadino uscente a dire di non essere riuscito «a costruire un ponte stabile con la cittadinanza tale da superare ogni oscillazione: […] Un sindaco uscente poteva e doveva trovare un meccanismo di partecipazione e coinvolgimento ulteriore e noi evidentemente non ci siamo riusciti». Se al secondo turno Marino ha guadagnato oltre 151mila voti, Alemanno è avanzato solo di 10mila consensi: secondo un sondaggio Swg, il ballottaggio avrebbe portato al voto per il candidato del centrosinistra uno su due degli elettori di Marchini e quasi un terzo di chi al primo turno aveva scelto Marcello De Vito (M5S); gli elettori recuperati dal candidato del centrodestra, invece, sarebbero state molto più basse (meno di un quarto di quelle mobilitate da Marino), a quanto pare nemmeno sufficienti per compensare gli elettori che hanno sostenuto Alemanno solo al primo turno e che quindici giorni dopo hanno disertato i seggi. È soprattutto quest’ultimo punto a richiedere riflessioni su quali forze – al di là del gradimento o dell’impopolarità del singolo – i partiti siano effettivamente in grado di mobilitare: è probabile che qualcosa nel centrodestra romano sia andato storto e qualcuno dei dirigenti altrettanto probabilmente vive ore inquiete.
[ad]In questo ballottaggio – era cosa nota – i romani hanno dovuto scegliere tra due persone che non erano native della città: è probabile che più di qualcuno abbia sorriso sentendo un genovese come Ignazio Marino urlare «Dajeeeeee!» alla chiusura della sua campagna elettorale, eppure i cittadini di Roma hanno preferito lui a un barese (pure se romano di adozione) come Gianni Alemanno, che non avevano voluto come sindaco nel 2006 e cui invece avevano dato fiducia solo due anni dopo contro un potenziale terzo mandato di Francesco Rutelli (che pure era davanti al primo turno). Per Marino questo può essere un punto di forza, ma anche un nervo scoperto: dovrà dimostrare “sul campo” di meritare il credito ricevuto, dalla gestione del traffico alle politiche sociali, fino alle risposte all’inciviltà che troppo spesso infesta la Capitale (chi non ci abita faccia un giretto sulla pagina Fb di «Roma fa schifo» per averne prova). Con la certezza che d’ora in avanti sarà giudicato su questo, non su altro.