Fare il Pd: nove pagine come canovaccio per una futura mozione in antitesi a quella renziana al prossimo congresso Pd.
[ad]Questo l’intento del documento titolato “Fare il Pd” fuoriuscito sulla stampa nei giorni scorsi e che vedrebbe la firma del Viceministro Stefano Fassina e dei parlamentari D’Attorre e Martina.
Dopo una prima pagina di stampo esistenzialista, dove viene sottolineata la necessità della sopravvivenza del Pd – “Noi siamo convinti che dalla scelta di fare il PD non si possa tornare indietro e che anzi il compito di fare davvero il PD e di esprimerne tutte le potenzialità sia ancora davanti a noi “ – il documento affronta quattro punti.
Le elezioni politiche del 2013 (“Il voto italiano nel contesto europeo: ricongiungere moneta e sovranità democratica”), le riforme istituzionali (“L’impotenza della democrazia e la sfida del populismo: riconnettere partecipazione e decisione”), un’analisi ‘sociale’ del risultato delle politiche (“Per una nuova creazione di valore oltre la crisi: uguaglianza, lavoro, diritti, impresa”) e la nuova strutturazione territoriale del Pd (“Controcorrente: per un soggetto politico collettivo”).
Innanzitutto il mini-pamphlet individua nel perseguimento dell’austerità ‘imposta’ dall’Unione Europea la principale causa della vittoria incompleta (definita “dimezzata” nello stesso documento) del 24 e 25 febbraio scorso.
Un voto identificato come un “terremoto” – parola che porta con sé una connotazione di qualcosa di improvviso e imprevedibile, significati su cui ci sarebbe molto (moltissimo) da cui obiettare (anche in riferimento alle stesse argomentazioni che i post-bersaniani) – che ha avuto un risultato “difficilmente spiegabile in una connotazione angustamente domestica” e dovuto all’appoggio al governo Monti.
Sulle riforme istituzionali il documento giustifica la necessaria modifica costituzionale non per “colpa” del governissimo, ma “una necessità storica ineludibile per rivitalizzare le istituzioni democratiche, nel momento in cui l’Italia è chiamata a reggere la sfida di un salto qualitativo nell’integrazione europea”.
Nelle intenzioni democratiche ci sono il superamento del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari ed altri ‘desiderata’ ormai arcinoti. La strada da percorrere però non è quella del modello francese, ma – magari – “un sistema semi-presidenziale accompagnato da un forte ruolo di un’assemblea legislativa composta da parlamentari scelti dai cittadini in un’elezione distinta”, senza derive populistiche. Insomma, pur non comparendo, i richiami a Berlusconi o a figure simili, è fortissimo.
Ma da quali “valori” far ripartire la ‘corrente postbersaniana”? “L’esito elettorale della lista Monti, lontanissimo dalle aspettative non solo dei suoi protagonisti ma anche di quanti nel PD sostenevano questa posizione, dimostra che il problema di andare oltre il recinto del tradizionale radicamento sociale della sinistra italiana è decisamente più complesso”. Niente rincorse “liberali”, ma maggiore attenzione al tessuto di PMI con una “moderna politica industriale”. Niente di così nuovo, quindi.
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[ad]L’ultima parte è invece dedicata alla corsa di ottobre, alla negazione totale del “populismo leaderistico” ed al ripensamento critico dello strumento delle primarie.
“Il prossimo Congresso nazionale del PD, inoltre, dovrà avviare un ripensamento sul modello organizzativo, dando attuazione a una riforma in senso federale del partito” ripetono i postbersaniani, ripetendo che comunque il progetto Pd “rimane più forte delle sue debolezze”.
Parole non di una novità dirompente quindi. Così come non è per niente dirompente l’omonimo (e anonimo) sito messo online in fretta e furia, con il documento e l’intervista a Bersani da parte di Chiara Geloni e Stefano Di Traglia, in quella che appare una serena e spensierata sviolinata da camera nel Titanic ormai sommerso d’acqua.