Turchia. Manifestazione di piazza dell’AKP ad Istanbul, mentre il movimento di #OccupyGezi cerca di riorganizzarsi
“Se i media internazionali vogliono un’immagine della Turchia, potrebbero trovarla in questa piazza”, così ieri Erdoğan ha lanciato la sfida alla stampa internazionale, davanti ad un milione di simpatizzanti dell’AKP – il partito di maggioranza del paese – riunite a Kazlıçeşme, non molto lontano da piazza Taksim, che fino a qualche ora fa è stata il centro della rivolta antigovernativa. All’indomani dello sgombero di Gezi Park, il primo ministro turco ha infatti ufficialmente interdetto ai manifestanti la possibilità di accedere nel sito interessato dai lavori di riqualificazione dell’area. Addirittura, il ministro degli Affari europei Egemen Bağış ha dichiarato che “chiunque entrerà a Gezi Park sarà considerato alla stregua di un terrorista”. Poi riferendosi alla risoluzione critica nei confronti della repressione delle proteste in corso in Turchia, approvata la scorsa settimana dall’assemblea Ue ha dichiarato. “La Turchia non è un paese la cui agenda politica può essere definita da altri. La Turchia oggi definisce da se’ la sua agenda politica”.
[ad]Intanto, le protesta continua al di là del perimetro della piazza. Oggi, quattro sigle sindacali – Confederazione dei sindacati progressisti (DISK), Confederazione dei sindacati del settore pubblico (KESK), Unione dei dottori turchi (TTB), Unione della camera degli Ingegneri ed Architetti turchi (TMMOB) e l’Unione dei dentisti turchi (TDHB) – hanno indetto uno sciopero, chiamando a raccolta i lavoratori, a sostegno delle manifestazioni di piazza contro l’autoritarismo del governo a guida AKP. Ma il ministro dell’Interno turco Muammer Guler ha avvertito che “il previsto sciopero a livello nazionale in segno di protesta per le violenze della polizia è illegale”. In più, un’associazione degli esercenti turchi si è appellata al Consiglio d’Europa, affinché interceda presso le istituzioni turche per la cessazione delle violenze della polizia.
Dunque la protesta non è più una questione ambientalista, ma ha avuto sviluppi repentini nel corso degli ultimi venti giorni: la Turchia è ormai divisa tra i sostenitori di Erdoğan e l’opposizione alla sua linea intransigente. La maggiore forza di opposizione, cioè il Partito repubblicano del popolo (CHP), non sembra così convincente da poter incanalare la rabbia del movimento #OccupyGeziPark. E proprio ieri, in serata, c’è stato un lancio di pietre contro le vetrate della sede del CHP – probabilmente dai manifestanti dell’AKP venuti in città ad assistere al discorso del leader del partito –, che ospitava al suo interno due parlamentari, rimasti illesi.
I due incontri tenuti settimana scorsa tra Recep Tayyip Erdoğan e la rappresentanza della Piattaforma di solidarietà Taksim sono finiti con un nulla di fatto: il primo ministro ha infatti proposto loro un referendum cittadino sulla modifica del piano di costruzione di Gezi Park. I rappresentanti hanno opposto un netto rifiuto, pretendendo la liberazione dei detenuti – 350 soltanto nella giornata di sabato, secondo l’Associazione dei baristi turchi – ed il rispetto dei diritti civili da parte della polizia e del governo. Ma le parole del vice primo ministro Bülent Arınç appaiono ancora più dure: “Le forze di sicurezza turche usano tutta la loro autorità per arrestare le proteste”.
Se è vero che piazza Taksim non è paragonabile alla sommossa egiziana di piazza Tahrir, il rischio che corre Erdoğan – eletto democraticamente con maggioranze schiaccianti – è quello di perdere consensi a livello internazionale, più che all’interno dei confini del suo paese. Tra l’altro, l’allontanamento dall’Unione europea non è uno scenario così lontano dalla realtà: l’attacco del primo ministro turco al parlamento di Bruxelles – “La Turchia non è un membro dell’Unione, dunque non accettiamo le sue ramanzine” – potrebbe escludere il paese da un suo eventuale accesso.
La Turchia è un chiaro esempio di paese in cui la prorompente crescita economica non va di pari passo con la stabilizzazione dei diritti civili. Richiamarsi alla piazza ed alla volontà popolare potrebbe non bastare a modernizzare la nuova Turchia dell’AKP. Lo spirito di partigianeria potrebbe esasperare ancor di più l’opinione pubblica e la piazza nei prossimi giorni, con la speranza che le violenze non degenerino.