Centrosinistra: il perimetro di un’alleanza
Siamo alla vigilia delle tanto attese elezioni regionali. Lo scenario è ancora profondamente incerto: se si guarda a cinque anni le regioni “in bilico” questa volta sono più numerose e, considerando che si vota in una regione in meno rispetto al 2005, queste possono determinare la partita e far pendere la bilancia a favore di uno o dell’altro schieramento politico.
Per dirla chiaramente: dalle regioni in bilico si potrà capire se assisteremo ad una sconfitta del governo nazionale o ad un’affermazione del centrosinistra.
Parliamo di contraccolpi nazionali per vicende ben note: il Presidente del Consiglio ogni giorno è sui mass media (prediligendo ovviamente la “home sweet home” del Biscione insieme a quello che ritiene il suo scantinato casalingo: la Rai) ha reso la partita una partita propriamente nazionale. Esagerando nei toni e rischiando terribili leggi del contrappasso.
Abbiamo parlato di Francia la scorsa settimana ed effettivamente si tratta di un tema ancora di moda. Si tratta di un voto dalla serissima valenza nazionale, ma Sarkozy ha speso il decimo del tempo di Berlusconi in comizi, telefonate elettorali e via dicendo.
Insomma, ad Arcore lo spettro dell’inaspettata sconfitta pare essere di casa. Consegnando una notevole linfa allo schieramento di centrosinistra che sta utilizzando queste elezioni come un’occasione per riannodare fili e stringere alleanze.
Non è cosa anomala vedere alleanze di centrosinistra più o meno larghe nelle amministrazioni locali. Anzi. Ma questo volta ci sono due elementi in più:
• In primo luogo si vota solo per le regionali e non per test amministrativi abbinati a test nazionali. Per fare un esempio: il Pd alle politiche del 2008 corse da solo ma, nello stesso giorno, proponeva un’alleanza insieme ad altri partiti del centrosinistra nella varie comunali e provinciali. In questa tornata invece non abbiamo più uno schema dicotomico strategia delle alleanze-strategia dell’assolo. Ma solo la prima che sovrasta e mette leggermente in ombra la seconda.
• In secondo luogo è anche giusto vedere la vicenda politica del centrosinistra nell’ottica del principale partito all’area: il Pd. Gran parte del dibattito congressuale del Partito Democratico si è concentrato sulle alleanze e ha visto emergere il candidato, Pierluigi Bersani, maggiormente favorevole ad ampie alleanze con altre forze politiche e maggiormente critico nei confronti della “strategia dell’assolo” (non chiamiamola vocazione maggioritaria! Termine strumentalizzato e oramai usato “a schiovere”, come si dice a Napoli).
Queste due situazioni ci portano a concepire lo scontro politico in atto (ma anche quello futuribile) in una logica che vede contrapposti centrosinistra a centrodestra…come prima del 2008!
Ma c’è un “ma”.
Infatti è vero che una parte importante del dibattito nel Partito Democratico si è concentrata sul tema delle alleanze (che poi sostanzialmente era un tema che poneva la questione di come concepire la soggettività del Pd in quanto forza politica), ma è anche vero che risulta essere ancora irrisolto uno snodo centrale che ha tanto interessato opinionisti e/o pseudo-tali: l’alleanza con l’Udc.
In alcune regioni il partito di Pierferdinando Casini è alleato col centrosinistra. Ma non secondo una logica ben precisa.
Quando Emma Bonino dichiarò: “non capisco perché l’Udc non mi appoggia nel Lazio ma appoggia la Bresso in Piemonte, che con me ha molto in comune”, Casini rispose: “noi appoggiamo la Bresso in Piemonte per un motivo molto chiaro: Roberto Cota”. Se il ragionamento casiniano fosse fondato lo sarebbe pure la mia domanda: se Cota e tutta la Lega sono “il male” per l’Udc, perché corre da sola in Veneto dove il candidato di centrodestra è un leghista, ben più belligerante del collega Cota, come Luca Zaia?
Sfatato dunque il luogo comune secondo cui “noi appoggiamo solo i migliori”, possiamo notare che l’Udc corra in varie regioni (Liguria, Piemonte, Marche, Basilicata) col centrosinistra, in altre col centrodestra (Lazio, Campania, Calabria) e in altre ancora da sola (Veneto, Lombardia, Emilia, Toscana,Umbria, Puglia).
Questa situazione dei “tre forni” di certo non aiuta ad annodare un filo, da parte del Pd, con l’Unione di Centro. Ma non finisce qui. Perché se ci allontaniamo dalla situazione regione per regione e ci concentriamo sul quadro nazionale la situazione appare ancor più fosca!
Per molti esponenti del Pd infatti negli ultimi tempi in realtà la distanza tra Partito Democratico e Udc è aumentata anziché diminuire, e nel corso del dibattito alla Camera sul legittimo impedimento si è addirittura arrivati, da parte dell’opposizione, a definire “quasi collaborazionista” la condotta dei centristi in Parlamento.
Domenica e lunedì quindi si vota. Finisce anche questa campagna elettorale e la parola passa ai veri protagonisti: gli elettori.
Tutto il dibattito e le dinamiche politiche che si sono delineate in questi mesi anche in questo caso ci hanno insegnato qualcosa di più sullo stato delle cose nel centrosinistra in Italia: il Pd si avvicina sempre più a Sinistra Ecologia Libertà (effetto Vendola), ai Radicali (effetto Bonino) e addirittura, a tratti, anche alla Federazione della Sinistra, nonostante Bersani spesso abbia ricordato come tra le due forze politiche fosse possibile solo, oltre ad alleanze nelle amministrazioni locali, un accordo sulle “regole del gioco” e sull’assetto istituzionale del paese.
In tutto ciò, no nonostante tutto, i pochi metri che separano via Due Macelli da Sant’Andrea delle Fratte paiono misteriosamente aumentare sempre di più.