Grillini svegliatevi: riconoscenza non vuol dire sudditanza
Oggi si decide il destino della reietta senatrice Adele Gambaro. La sua storia è arcinota. Ha insultato il capo e come in tutti i movimenti patriarcali chi denigra il fondatore è costretto all’esilio e alla damnatio memoriae. Ma all’interno del pittoresco e variopinto ecosistema grillino non tutti sono d’accordo con l’epurazione della senatrice. Anzi, alcuni, sarebbero pronti, se la Gambaro venisse espulsa, a seguirla in un nuovo gruppo, in contrasto con la poca libertà interna al Movimento. Libertà che i duri e i puri vicini al grande Capo sbandierano a destra e a manca allontanando dai loro lidi critiche assordanti di scarsa democrazia interna.
[ad]I fedelissimi, già ritratti come il nuovo cerchio magico dopo quello di bossiana memoria, denunciano i “traditori” di scarsa riconoscenza verso Grillo. “Senza di lui” è la litania che ridonda da giorni “Noi non saremmo nessuno”. “E’ grazie alla genialità di Grillo se è nato il Movimento e noi siamo qui in Parlamento”. Niente da eccepire. Grillo è stato il propulsore dei Cinque Stelle. E’ stato il pilota che mette la prima marcia per far partire una macchina che alle ultime elezioni ha raccolto consensi ben al di sopra delle più rosee previsioni. Tutto giusto.
Eppure quella riconoscenza verso il capo ha più l’aria della sudditanza. La si può intuire nelle parole piene di fiele del grillino “fino alla morte” Manlio Di Stefano che sul suo profilo di Facebook ha attaccato la senatrice Gambaro definendola “una miracolata che si crede Che Guevara”. Ancora più dure quelle riservate all’altra pentastellata Paola Pinna che in un’intervista alla Stampa aveva dichiarato: “Scegliere tra Grillo e Gambaro è come scegliere tra schiavitù e libertà. Ebbene io scelgo la libertà”. Per Di Stefano la Pinna “E’ una miserabile (laureata disoccupata che viveva con i genitori a Quartucciu, Cagliari, e con cento voti cento e’ diventata deputata al Parlamento) che invece di spargere petali di rosa dove Grillo cammina, sorge in difesa di una certa Gambaro, un’altra miracolata che si crede Che Guevara“. Un’intemerata che sconfina in un’ordalia senza senso. La mente annebbiata dalla sudditanza più cieca. Dove il capo ha sempre ragione e gli altri sempre torto. Una pericolosa deriva dal sapore maoista che sta annacquando un Movimento in cui molti italiani avevano riposto le proprie speranze di un cambiamento mai avvenuto.