Pdl, Berlusconi detta la linea a falchi e colombe: “Niente gesti inconsulti”
Dopo il no al legittimo impedimento firmato dalla Corte Costituzionale, a Via dell’Umiltà va in scena la programmazione dei prossimi mesi. Silvio Berlusconi, manco a dirlo, è al timone: socio di minoranza del governo Letta, il leader del Pdl si vede costretto a lavorare nell’ombra. Se pubblicamente giura di voler rispettare responsabilmente il patto firmato con il Pd sotto gli occhi di Napolitano, in privato, nelle riunioni notturni con i suoi più fedeli collaboratori, si dice pronto a lanciare l’offensiva, deluso dall’indifferenza dei suoi ‘alleati’ e del Presidente della Repubblica.
[ad]Il rischio incombente per il Cav è che la Suprema Corte in autunno confermi la condanna in merito al processo Mediaset: 4 anni ridotti a uno con l’indulto, e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. In parole povere, Berlusconi non solo rischierebbe i domiciliari o i servizi sociali ma non potrebbe più fregiarsi della carica di senatore, non potrebbe presentarsi alle elezioni politiche né candidarsi a Presidente della Repubblica in caso di una riforma della Costituzione. Insomma una sorta di ‘ergastolo politico’, per dirla alla Santanchè, che metterebbe fine alla ventennale carriera del capo del centrodestra.
Il Pdl, o ciò che diventerà nei prossimi mesi (Forza Italia bis?), al momento sembra non potersi permettere la dipartita del proprio leader. Se è vero che le ultime amministrative hanno visto prevalere il centrosinistra anche e soprattutto a causa di una ‘sottoesposizione’ del Cav, non viene difficile pensare che tutte le anime del Popolo della Libertà facciano quadrato intorno a Berlusconi e al suo pool di avvocati.
Prima del verdetto della Corte Costituzionale, Maurizio Gasparri l’aveva sparata grossa: “Qualora ci fosse un epilogo negativo e, per noi di inaccettabile valore politico, avremmo tutto il diritto di assumere iniziative come le dimissioni di tutti i parlamentari Pdl“. Accantonata ‘l’ipotesi-strappo’ grazie al freno messo prima da Galan e Carfagna e poi da Alfano, ancora una volta sembra essere Berlusconi stesso a dettare l’agenda: “Niente gesti inconsulti” è il diktat che viene da Arcore. Certo, la rabbia c’è ed è ampiamente condivisa da tutto il gruppo dirigente azzurro, tanto che anche la più atavica delle spaccature del Pdl sembra essersi disciolta davanti al verdetto della Corte: falchi – Verdini, Capezzone, Santanchè, Brunetta – e colombe – Alfano, Quagliariello Lupi, De Girolamo – compongono un coro unanime. Quello della Consulta “è un atto di guerra e come tale va preso”.
Se per ora è ritenuto sconveniente far cadere il governo, allora dove convogliare questo malcontento? La sensazione è che Berlusconi non aspetterà il verdetto del processo Mediaset, previsto ad ottobre, per far valere le proprie ragioni. Tutto inevitabilmente ricadrà sull’esecutivo: la tattica messa nera su bianco dal Cav prevede di sostenere Letta ad oltranza, alzando di volta in volta il tiro fino a far cadere il governo prima dell’autunno e tornare alle urne. I temi su cui il centrodestra punterà per dare la spallata decisiva sono principalmente di matrice economica: l’abolizione dell’Imu, il blocco dell’aumento dell’Iva(e su questo la pasionaria Santanchè si è già fatta sentire con una minaccia nemmeno tanto velata “Se tra 11 giorni l’Iva sarà stata aumentata, non ci sarà più il Governo”), l’addio al tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil imposto dall’Ue. . Argomenti perfetti perché scottanti e dal doppio valore: allo stesso tempo, toccano la sensibilità dell’elettorato di Berlusconi e minano la stabilità interna di una maggioranza oggi più fiacca e disorientata.